giovedì 31 marzo 2011

La presa del Castel Nuovo

Un uomo che non ha pensieri individuali è un uomo che non pensa (Oscar Wilde)

Una costante della società moderna è il lamento: la gente si lagna per ogni cosa, a partire dalle piccole incombenze quotidiane per arrivare ai problemi planetari! Costoro non hanno compreso che la recriminazione è assolutamente improduttiva, anzi genera e dissemina un ulteriore clima di sfiducia ed afflizione.
Cosa fare per arginare questo fiume in piena di insoddisfazione e disfattismo? Bene, sono convinta, e ho più volte, modestamente, sostenuto questa tesi dalle pagine del mio blog, che tutti noi dovremmo ribellarci allo stato di sudditanza psicologica cui i media ci hanno costretto. La mia affermazione può apparire esagerata, ma penso che potrete condividerla se prestate veramente attenzione alle cose di cui la gente parla e soprattutto al modo in cui ne parla! Grazie all’azione dei mezzi mediatici, persone comuni, come noi, sono spesso terrorizzate, se non paralizzate, dalla paura di eventi catastrofici, sono perseguitate da fobie collettive che spingono sempre più all’isolamento e alla diffidenza anziché all’interazione e alla comunicazione, sono istigate al fanatismo anziché alla moderazione. E non è tutto! Il grande pericolo, che neanche le menti più sveglie alle volte realizzano, è la capacità di questi lupi di travestirsi da agnelli. Apparentemente, costoro stanno facendo informazione, stanno, cioè, fornendo un servizio essenziale e fondamentale alla collettività. E su questo nulla da ridire. Il vero problema sta nell’abilità di questi signori a far passare come cronaca, ossia come esposizione oggettiva dei fatti, ciò che spesso sono pareri personali o di fazione, o, peggio ancora, a diffondere tra la gente, in maniera subdola e paternalistica, sensazioni di allarmismo e di smarrimento. Spesso, e ne abbiamo prova di continuo, il clima di incertezza e turbamento che i media riescono a creare si rivela del tutto ingiustificato, ma, nel frattempo, essi hanno fatto sì che sentimenti di paura, afflizione e intolleranza sedimentassero un altro po’ nelle nostre coscienze. Sto forse esagerando?
Sotto la minaccia di questo annichilimento generale, perpetrato sapientemente giorno dopo giorno, ciascuno di noi dovrebbe avere la forza di non dare più ascolto ai propinatori di falso buonismo, ai manipolatori del pensiero, o, almeno, di imparare a riconoscerli per evitarli. Dovrebbe avere la capacità di ritornare un essere pensante e, soprattutto, di analizzare i fatti con il buon senso, che prescinde dal grado di cultura personale. Vi sembra tanto difficile? Io penso che non sia impossibile. Bisogna solo avere la consapevolezza che il nemico da fronteggiare è potente, ma, soprattutto, ambiguo.
E adesso è il momento di ritornare alle vicende, o, meglio, alle peripezie (e tra poco capirete il perché) della futura sposina!
Il tragitto dalla casa paterna al Maschio Angioino, dove sarebbe stato celebrato il matrimonio tra me ed Alessandro, in condizioni normali avrebbe richiesto non più di venti minuti. Quella mattina, invece, dopo venti minuti non eravamo neanche a metà strada. Napoli era paralizzata da un traffico infernale che sarebbe stato possibile eludere solo con il ricorso alla batmobile (il mezzo di locomozione di Batman, per intenderci!). Varie congiunture sfavorevoli tramavano contro di noi: innanzitutto, la pioggia battente che, come tutti i napoletani connessi possono confermare, mette sistematicamente in ginocchio la città, cui si aggiunse un elemento non previsto, vale a dire una massiccia manifestazione di disoccupati che quel giorno, invece di oziare, non avevano di meglio da fare che rompere le uova nel mio paniere.
Fortunatamente, riuscimmo a passare incolumi prima che la marea urlante giungesse al Museo Nazionale, punto di snodo cruciale tra la parte collinare di Napoli, da cui provenivamo, e quella adiacente al mare, dove eravamo diretti. Nonostante ciò, eravamo, comunque, in forte ritardo, al punto che, a circa cento metri dal traguardo, io e Luisa decidemmo di scendere dalla macchina e proseguire a piedi. Pioveva a dirotto, e fare la gincana nel traffico napoletano, vestite di tutto punto e corredate di un ombrellino pieghevole, avrebbe fatto ridere anche i polli. Dulcis in fundo, giunte al cospetto del monumentale ingresso del Castel Nuovo -l’Arco di Trionfo di Alfonso d’Aragona-, il tacco della scarpa mi rimase incastrato tra due tavole di legno che, inserite in una lunga sequenza, permettevano di valicare il fossato e di accedere al castello. Quella fu davvero la ciliegina sulla torta (almeno, così pensavamo!), ma neanche l’ennesimo imprevisto riuscì a rovinare il buonumore mio e della cara Luisa!
Viste le difficoltà incontrate per raggiungere la meta, immaginavo di conquistare un castello desolato. Invece, ad attendermi, con mia grande sorpresa, c’erano già tanti amici e parenti, ma, soprattutto, c’era lui, Alessandro! Egli mi accolse con un abbraccio che, sebbene durato una manciata di secondi, mi sembrò eterno! La sensazione che provai è difficilmente descrivibile a parole. Fu un dono unico, una fusione di anime, un’esplosione di gioia e letizia. Costituiva la prova che il sogno era realtà!
Ma il meglio della cerimonia doveva ancora venire…
Per saperne di più, appuntamento alla prossima puntata!

5 ottobre 2002

Jette pe' se fa 'a croce, e se cecaie 'n uocchio
(Nel farsi la croce si accecò -quando si dice la sfortuna!-)

Il napoletano non si smentisce mai! E’ davvero una lingua ricca di sfumature, ma soprattutto, attraverso le sue massime e modi di dire, lascia trasparire il vero spirito della napoletanità: sagacia, intelligenza, acume, umorismo, esasperazione ma anche capacità di stemperare o ridicolizzare eventi avversi!
E’ il caso del motto odierno la cui incisività ed immediatezza sono tali da avere quasi la sensazione che la scena si stia svolgendo sotto i nostri occhi, divertiti e compassionevoli al tempo stesso! Nella fattispecie, si ricorre a questo modo di dire allorquando si fa riferimento ad una persona particolarmente sfortunata che è in grado di attirare la sventura persino nel farsi il segno della croce.  
Prendo spunto da questo modo di dire per richiamare la vostra attenzione sull'abilità, non comune, dei napoletani di sdrammatizzare e, addirittura, rendere comica anche una situazione particolarmente penosa. Tale propensione, tuttavia, non va interpretata come bieca insensibilità o superficialità, ma, piuttosto, come puro spirito di sopravvivenza, come attitudine a guardare avanti sempre con una punta di ottimismo, nonostante l’inclemenza e la durezza della realtà.
Un equivalente del motto di apertura è un’altra colorita espressione che pure suscita in me tanta ilarità ogni volta che la sento o la leggo, e che suona così: Me pare Pascale passaguai (Mi sembra Pasquale “passaguai”). Non chiedetemi l’origine di questa espressione, ma ha su di me un effetto assolutamente esilarante, non trovate anche voi?
E adesso, torniamo a ciò che tutti aspettate: il fatidico giorno delle nozze!
La data prescelta era il 5 ottobre del 2002, un sabato di un tiepido autunno napoletano. Per me era così naturale sposare Alessandro che avevo vissuto i mesi dei preparativi con grande serenità e rilassatezza. Vi basti sapere che andai a lavoro fino al giorno prima del matrimonio! E poiché il confezionamento della sposa era fatto interamente in casa, non fu neanche necessario alzarsi eccessivamente di buon’ora! Senza considerare che Olivia, la mia testimone nonché truccatrice abitava nel palazzo difronte, e che il mio accompagnatore, Rakesh, abitava al piano di sotto, il che, come vi sarà facile immaginare, ridusse ulteriormente i tempi necessari per i preliminari.
Le nozze erano fissate alle ore 12.00 in pieno centro, presso il duecentesco Castel Nuovo, meglio noto come Maschio Angioino. In realtà, il quartiere di riferimento avrebbe dovuto essere il Vomero, dove Alessandro risiedeva, posto, invece in zona collinare. Tuttavia, poiché la sede vomerese ci era apparsa alquanto squallida ed impersonale, avevamo fatto richiesta di celebrare le nozze presso la sala ben più pittoresca e suggestiva del Maschio Angioino. Il motivo per cui vi sto dando una lezione di toponomastica partenopea vi sarà chiaro in seguito, in quanto quel giorno Napoli, dove è possibile tutto e il contrario di tutto, ci riservò una sorpresa davvero inimmaginabile, che incise non poco sulla tabella di marcia dell’intera cerimonia! Ma un passo alla volta…
Eravamo rimasti ai preparativi della sposa che, come già detto, furono sorprendentemente, rivoluzionariamente (oserei dire!) veloci, al punto che, quando alle nove giunse il fotografo, ero già pettinata, truccata e vestita di tutto punto.
Fatte le foto di rito, non rimaneva altro che mettere insieme le bagattelle (ossia, le carabattole, le cianfrusaglie) e partire alla volta del Castel Nuovo!
Non erano ancora le undici quando Luisa e Rakesh vennero a prelevarmi per accompagnarmi con la loro auto. Mia madre e mia sorella, con gli altri familiari stretti, ci avrebbero seguito a ruota.
Il tempo quel giorno non fu clemente. Pioveva a dirotto e tutti i napoletani sanno che, in circostanze simili, la città va misteriosamente in tilt. E’ come se la pioggia spargesse, insieme ai suoi umori, anche una sorta di polvere stregata capace di immobilizzare inspiegabilmente il traffico, alla stregua di un incantatore di serpenti che ammalia un crotalo.
Ma se l’handicap meteorologico era in buona parte pronosticabile, non ci eravamo, tuttavia, attrezzati per l’imponderabile… una sfera di cristallo avrebbe fatto al caso nostro, poiché solo in questo modo avremmo potuto prevedere che, proprio quella mattina, la città sarebbe stata messa in ginocchio da una oceanica manifestazione di disoccupati, che dalla Stazione Centrale, passando per il Museo Nazionale e, quindi, per Via Roma, sarebbe sfociata a Piazza Municipio. Come mai, vi chiederete, vi propino un’ulteriore lezione di toponomastica? Ma perché il Maschio Angioino (indovinate un po’!) si trova per l’appunto a Piazza Municipio!
Siete curiosi di sapere cosa successe quel 5 di ottobre? Bene, per i dettagli vi rimando al prossimo post!   

martedì 29 marzo 2011

Gli opposti si attraggono!

A buon intenditor, poche parole

Il proverbio odierno è l’equivalente italiano della massima latina Intelligenti pauca sufficiunt, intendendo che alla persona arguta bastano pochi indizi per comprendere un concetto o avere chiara una situazione. In napoletano, si direbbe di quella  persona che è scetata, ossia sveglia, perspicace.
Nella mia vita ne ho incontrati tanti di ‘buoni intenditori’. Tuttavia, in questa specifica occasione, mi piacerebbe ricordare una carissima amica che non vedo da oltre dieci anni, ma che so essere un’appassionata sostenitrice del mio blog: Piera!
Piera è una mia coetanea con cui ho condiviso gli anni dell’università a Siena. All’epoca eravamo ancora due giovani donne, ma nel suo sguardo frizzante e diretto già si percepivano le potenzialità che avrebbe poi manifestato. Quando la conobbi, le sue fattezze mi suggerirono il paragone con un cerbiatto, per via di quei suoi occhi grandi e verdi, e della delicatezza dei suoi lineamenti, conditi da una manciata di lentiggini sparse su una pelle diafana come la porcellana. Non avrei mai immaginato che all’interno di quell’involucro apparentemente così etereo potesse celarsi un vero e proprio Caterpillar in fatto di determinazione e perseveranza. Ebbi prova di questo aspetto saliente del suo carattere allorquando ella mi raccontò di come avesse deciso di smettere di fumare e di come, soprattutto, vi fosse riuscita. Dall’oggi al domani, aveva detto basta alla sigaretta e, in caso di crisi da astinenza, ricorreva ad un espediente alquanto pittoresco, ma efficace: come lei stessa riferì in maniera molto colorita, andava ad annusare le tende della sua camera, ancora impregnate del fumo di sigaretta, fino a che il peggio non fosse passato.
Da quando le nostre strade si sono divise, ho avuto notizie di Piera da mezza Europa: ella ha prima lavorato per molti anni a Milano nella divisione marketing di una grande azienda. Poi si è spostata in Belgio, dove, durante un viaggio di piacere, l’ho incontrata in qualità di consulente esterna del Monte dei Paschi di Siena a Bruxelles. Attualmente vive e lavora in Lussemburgo, presso la Comunità Europea.
Approfitto del mezzo mediatico per inviare un messaggio alla mia cara amica: vieni a trovarmi presto, altrimenti sarò costretta a sbarcare nel tranquillo ed austero Granducato del Lussemburgo con tutta la banda al séguito!
E adesso è giunto il momento di ritornare alla narrazione degli eventi che mi avrebbero condotto sino al giorno delle nozze!
Come vi dicevo, all’appello mancavano solo lo sposo (ma con lui, ormai, i giochi erano fatti!), i testimoni e chi mi accompagnasse al fatidico “sì”.
Proposi di farmi da testimoni alle mie carissime amiche Maria Rosaria (che già conoscete tramite il post omonimo) ed Olivia, che, invece, ho introdotto nel post di ieri quale mia insostituibile consulente di immagine.
La scelta di chi avrebbe dovuto fare le veci di mio padre fu, ovviamente, più delicata, ma, anche in quel caso, non ebbi dubbi. Certo, Babbo Diego era e resterà per sempre insostituibile, ma penso che anche lui, al mio posto, avrebbe individuato la stessa persona: il mio grande e saggio amico Rakesh! Il nome, tradisce chiaramente origini esotiche, anche se Rak, indiano dell’India, vive in Italia da oltre 30 anni ed è felicemente sposato con la carissima Luisa, napoletana doc. Il contrasto tra i due è immediato: lui bruno e di carnagione olivastra, lei bionda, occhi azzurri e di pelle chiarissima.
Anche caratterialmente confermano il vecchio adagio secondo cui Gli opposti si attraggono: lui pacato, imperturbabile e di poche parole, lei chiacchierona, solare e travolgente. La loro unione è un sodalizio consolidato che dura da svariati decenni.
Condividono anche passioni parallele, poi trasformate nella loro professione: zoologo lui, biologa lei, entrambi professori universitari.
Quando penso a loro, l’immagine che mi viene in mente è quella di una casa tiepida ed ospitale, perché è sempre così che mi hanno accolto. Oltretutto, la loro famiglia e la nostra sono legate da stranissime combinazioni di date: mia madre e Luisa compiono gli anni lo stesso giorno, così come Rakesh e mia zia Ines (anche lui un Gemelli, quindi!). Il compleanno di Silvia, la loro unica figlia, cade il giorno dell’onomastico di mia sorella Daniela e sicuramente ora mi sfugge qualche altra strana casualità! Senza dimenticare che Luisa è anche la madrina di battesimo e di cresima di mia nipote Paola. E con questo, al momento, abbiamo fatto cinquina. Per la tombola, ci stiamo attrezzando!
Ritornando a noi, quando proposi al prof di accompagnarmi nel giorno delle nozze, lui, come suo solito, non lasciò trasparire granché le emozioni, ma io percepii distintamente che, al di là dell’apparenza enigmatica, era oltremodo lusingato ed onorato: probabilmente quell’invito gli giunse inaspettato, ma posso affermare senza tema di smentita che l’idea di essermi accanto in un momento così importante non lo lasciò del tutto indifferente!

lunedì 28 marzo 2011

Un matrimonio quasi imperfetto

Quanno 'o mellone esce russo, ognuno ne vo' 'na fella
(Quando il melone è rosso, ognuno ne vuole una fetta)


Non di rado assistiamo alla celebrazione o alla magnificazione di una persona allorquando questa diviene un personaggio, ossia un individuo che si distingue in un certo ambito per fama o prestigio. Ma, guarda caso, prima di allora, pochi si erano accorti di lei, eppure quella persona è esattamente la stessa, nulla di lei è cambiato se non la sua notorietà…
Allo stesso modo, è altrettanto comune che molti disprezzino o sminuiscano le iniziative altrui, sostenendo che sicuramente si tratterà di un fiasco clamoroso. Tuttavia, quando i fatti smentiscono le malelingue e, al contrario, sentenziano il successo dei più intraprendenti, allora ognuno vuole salire su quel treno in corsa, affermando che era stato tra i pochi a scommettere sulla riuscita dell’impresa!
Insomma, tutti sono pronti a puntare solo se a colpo sicuro, ma pochi, pochissimi, sono coloro disposti a rischiare sul potenziale di una persona o di un affare, per quanto questi siano razionalmente affidabili.
Fortunatamente, quei pochissimi bastano a cambiare le sorti dell’umanità: cosa sarebbe stato dei grandi artisti di ogni epoca, a partire dall’antica Roma, se essi non avessero goduto della protezione e della generosità dei mecenati? E cosa avrebbe fatto Cristoforo Colombo se Isabella di Castiglia non avesse creduto in lui? Probabilmente, egli avrebbe bussato ad altre porte, ma bisogna riconoscere ad Isabella e a suo marito Ferdinando il merito della lungimiranza e della propensione al rischio.
Potrei citare tanti altri esempi analoghi, ma il succo del discorso non cambierebbe: è facile, ed anche comodo, farsi promotori o sostenitori di qualcosa o qualcuno quando sappiamo per certo che il melone uscirà rosso e saporito.

Tuttavia, ritengo che non sia questo il genere di persone tra cui vorremmo essere annoverati. Non ci rimane, allora, che allenare il nostro fiuto a riconoscere i frutti più maturi ed avere il coraggio di afferrare un coltello per scoprire le bontà che essi nascondono. Solo chi saprà osare in tal senso avrà diritto al premio finale, ossia quello di gustare fino in fondo la prelibatezza della loro polpa!
E adesso ritorniamo a noi!
I preparativi per le mie nozze furono un nuovo gioco di cui occuparmi per un po’ di tempo. Non fraintendetemi! Non che considerassi il matrimonio alla stregua di un diversivo, ma ritenevo che i passi che mi avrebbero condotto al grande giorno andassero vissuti come un divertimento, senza sovraccaricarli dell’ansia e dell’agitazione che di solito accompagnano le future spose.
Contrariamente al resto della popolazione mondiale femminile, desideravo che quel momento fosse genuinamente, autenticamente, inaspettatamente imperfetto! Volevo, insomma, che fosse una festa informale tra amici e parenti, all’insegna della spontaneità e della semplicità.
Io stessa ero la prima a non voler apparire impeccabile a tutti i costi e, quindi, in armonia con lo spirito della ricorrenza, decisi di optare per un abito che fosse innanzitutto comodo e che, in secondo luogo, potessi utilizzare anche in altre occasioni. Sapeste che tristezza mi ha sempre fatto l’idea di chiudere sotto chiave, in qualche valigia o stipo dimenticato, l’abito bianco che, conosciuti gli splendori di un unico giorno, è, poi, condannato a trascorrere il resto della sua esistenza in gattabuia, privato finanche dell’ora d’aria che quotidianamente viene concessa perfino al più incallito dei delinquenti!
Alla luce di tutte queste considerazioni, secondo voi quale mise scelsi, senza neanche troppe esitazioni, per il grande giorno? -chi era presente al mio matrimonio, si astenga da ogni suggerimento!- Beh, in puro stile rivoluzionario, optai per un completo pantalone e giacca. La scelta del colore si attestò entro canoni tradizionali: un tenue color cipria, cui si abbinava un corpetto effetto ‘trasparente’, ricoperto da un fine ricamo di perline.
In linea con il clima informale, anche l’acconciatura non fu particolarmente ricercata, anzi non lo fu neanche un po’! Lasciai i capelli al ‘naturale’, avendo la fortuna di possedere una chioma mossa, con riccioli morbidi, ma voluminosi al punto giusto. Non mi presi neanche la briga di affidarmi ad un parrucchiere, visto che sapevo esattamente come dare ai miei capelli la piega che desideravo.  
E il trucco? Ovviamente fu bandita ogni sorta di estetista rampante e la scelta ricadde sulla mia cara amica Olivia che, dopo un provino effettuato qualche giorno prima, provvide a prepararmi in maniera magistrale, senza però snaturare i miei reali lineamenti e, soprattutto, la mia personalità!
Mancavano solo lo sposo, i testimoni e chi mi avrebbe accompagnato al fatidico ‘sì’!
Un po’ di pazienza ed anche questo ulteriore tassello troverà la sua collocazione…

sabato 26 marzo 2011

Le statue di cera di Madame Tussauds

Chi non risica non rosica

Detto in altre parole, il proverbio odierno è riassumibile nel seguente concetto: chi nella vita non si dà da fare e non rischia, non otterrà mai nulla! Naturalmente, non mi riferisco al giocatore d’azzardo: costui pure rischia, ma lo fa in maniera imponderata, sfidando la sorte incautamente e, talvolta, mettendo a repentaglio la sopravvivenza sua e della propria famiglia.
Quando parlo di rischio, mi riferisco alla propensione al cambiamento che è presente in ciascuno di noi e che è un motore importantissimo per mantenerci sempre vivi ed attivi. Solo chi è disposto a rimettersi in gioco, sfidando, innanzitutto, se stesso, le proprie capacità ed i propri limiti, avrà la possibilità di dipingere il quadro della propria vita con una gamma ampia, anche se non esaustiva, di colori. E, poiché questa possibilità ci è concessa una sola volta, ritengo che sia un vero delitto mortificare la nostra esistenza a livelli mediocri di sopravvivenza, piuttosto che elevarla verso scopi che, a prescindere se siano conseguiti o meno, avranno, comunque, contribuito a farci crescere e migliorare. Perché accontentarsi di una vita in bianco e nero, quando possiamo viverla a colori?
E adesso nuova puntata rivoluzionaria!
La scelta maturata, ossia quella di rimanere a Napoli con Alessandro, mi proiettava rapidamente verso una nuova dimensione: quella di futura sposa! Era la fine di marzo del 2002 e in men che non si dica il 5 di ottobre (la data fissata per le nozze) avrebbe bussato alla mia porta e mi avrebbe chiesto “E allora, a che punto siamo con i preparativi?”
Il tempo a mia disposizione, effettivamente, non era molto, ma non era neanche poco, soprattutto perché avevo in mente un matrimonio tutt’altro che in pompa magna.
La nostra prima decisione fu quella di sposarci solo civilmente e, quindi, il percorso che doveva condurci alle nozze era indubbiamente semplificato ed abbreviato.
Anche la scelta dell’abito non richiese tempi lunghi, in quanto avevo le idee molto chiare su ciò che non volevo: ero seriamente intenzionata a rifuggire dall’abito bianco, poiché proprio non sapevo figurarmi in un tradizionale vestito tutto tulle, trine e ricami!
Così come avevo sempre poco gradito l’idea di farmi acconciare e truccare per l’occasione, in quanto ero sicura che il mio futuro marito avrebbe pensato di avere al suo fianco un’altra donna, che, nella migliore delle ipotesi, gli sarebbe apparsa l’equivalente di una statua di cera del famoso Madame Tussauds di Londra.
Per non parlare delle riprese della cerimonia ad opera di cameramen in giacca e cravatta, che cercano, soprattutto nel momento solenne del “sì”, di rendere pressoché invisibile la loro presenza! L’effetto finale, invece, è esattamente l’opposto, visto che in ogni istante avverti una indefinibile sensazione di imbarazzo, scrutata come sei dall’occhio indagatore della telecamera…
E che dire delle foto? E no, stavolta vi ho gabbati… Quelle furono l’unica componente tradizionale dei matrimoni che accettai di buon grado!
Ma, per maggiori dettagli, vi rimando al prossimo post!

venerdì 25 marzo 2011

La pellicola Super 8

'O barbiere te fa bello, 'o vino te fa guappo e 'a femmena te fa fesso
(Il barbiere ti fa bello, il vino ti fa temerario e la donna ti fa fesso)

Molte donne ritengono che quello maschile sia un universo alquanto prevedibile, contrariamente a quello femminile che, invece, è assolutamente più contorto ed enigmatico. Non me ne vogliano i signori lettori, poiché, personalmente credo che tale peculiarità, riassunta dal proverbio odierno in maniera forse un po’ superficiale, ma, sicuramente, attendibile, non sia da considerarsi necessariamente una deficienza o una limitazione. 
La concezione che gli uomini hanno del mondo in tutte le sue sfaccettature è notoriamente molto più lineare e coerente di quanto sia quella delle donne. Per un uomo due più due fa sempre quattro; la donna, invece, riesce a convincerti che qualche volta possa fare tre o cinque!
Così, le reazioni dell’uomo difronte ad un’offesa o ad un torto subìto possono essere plateali, chiassose, ma sono quasi sempre impulsive e, pertanto, prevedibili. Viceversa, una donna ferita nell’orgoglio, è molto più pericolosa, in quanto, generalmente, cova la sua vendetta in maniera lenta e imponderabile. Per raggiungere davvero il suo scopo ed avere piena soddisfazione, è, addirittura, capace di celare la sua ira e il suo rancore dietro una maschera di apparente cordialità, ma, attenzione, perché, appena la lama sarà affilata al punto giusto, non si farà alcuno scrupolo di pugnalarvi alle spalle.
Giusto per la cronaca, vorrei informare mio marito Alessandro che, per quanto riguarda la prevedibilità delle reazioni, può stare tranquillo: sotto questo aspetto (ma solo e soltanto sotto questo aspetto!) è come se avesse sposato un uomo!
E passiamo, come di consueto, a sistemare un altro piccolo tassello della mia autobiografia!
Presa e palesata al resto del mondo la mia decisione, la prima cosa che feci fu quella di spacchettare gli scatoloni che solo qualche ora prima stavo alquanto svogliatamente riempiendo. Ripensandoci a freddo, la scena che balena nella mia mente ha un non so che di comico. Ci pensate? Il piccolo soggiorno era invaso da cartoni, nastro adesivo, oggetti avvolti in fogli di giornale e pronti ad affrontare l’ennesimo letargo in vista dell’ennesimo trasloco: mi sembra quasi di udire i loro brontolii e mugugni, stufi com’erano di me e delle mie continue inversioni di marcia! Ed eccomi lì, dopo neanche 24 ore, a disturbare ancora una volta i loro sonni e a rimaneggiarli per metterli nuovamente in bella mostra su qualche mensola o ripiano. Era come guardare una vecchia pellicola Super 8 (ve la ricordate?) che, mentre lascia scorrere le immagini fotogramma dopo fotogramma, improvvisamente ferma la sua corsa e torna indietro, così da assistere esattamente alla stessa scena, ma alla rovescia.
Mentre risistemavo casa, andavo elaborando i risvolti della scelta maturata, cercando di mettere ordine anche dentro me stessa. Dovevo avere la capacità di lasciarmi alle spalle senza alcun rimpianto quella parte di me che tanto aveva lottato e creduto nella possibilità di rientrare a Siena, e che, alla fine, era riuscita nel suo intento! Sviluppai velocemente questa capacità, facendo un ragionamento molto semplice: qual era il mio stato d’animo mentre mi accingevo alla partenza? E come si era evoluto dal momento in cui avevo sciolto ogni riserva? La serenità che provavo all’idea di percorrere la mia strada insieme ad Alessandro mi diede automaticamente la risposta. Non sapevo ancora quanto sarebbe stata lunga quella strada, ma ero certa che, in ogni caso, ne sarebbe valsa la pena!

giovedì 24 marzo 2011

Ogni lasciata è persa!

Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare

L’esperienza mi ha insegnato che è bene diffidare di coloro che parlano troppo e che facilmente promettono: state pur certi che nel 99% dei casi disattenderanno le vostre aspettative!
Del resto, bastano pochi indicatori per capire se una persona sia affidabile o meno: se fa ritardo ad un appuntamento, se promette di telefonarvi e poi non si fa sentire, se ad una vostra precisa richiesta o proposta (del tutto lecita, naturalmente!) tergiversa e prende tempo, allora siete molto probabilmente di fronte ad una persona poco attendibile. Un’analisi come questa, veloce e alla portata di tutti, vi preserverà da delusioni e frustrazioni e vi aiuterà ad orientare correttamente la vostra capacità di discernimento, schivando abilmente i millantatori che, purtroppo, popolano la nostra quotidianità.
A volte, sono fuorviata dalla proiezione sugli altri del mio modo di essere o di comportarmi. In altre parole, poiché in me è innato il senso della responsabilità e del rispetto della parola data, sono portata a pensare istintivamente che tutti condividano ed osservino i miei stessi valori. Poi, la razionalità e il buon senso mi riportano con i piedi per terra e, con amarezza, mi rendo conto che, sotto questo profilo, non siamo tutti uguali.
Ecco perché mi piace circondarmi di persone propositive e creative che, sappiano, tuttavia, abbinare l’inconsistenza delle chiacchiere con la concretezza dei fatti. Entrambi i momenti sono stimolanti e coinvolgenti, ma l’uno senza l’altro risulterebbe sterile: il solo parlare, o straparlare, verrebbe da noi percepito come un’improduttiva perdita di tempo, mentre il solo fare, senza alcuna progettualità, si ridurrebbe a puro meccanicismo. Quando, viceversa, siamo in grado di dare materialmente séguito ai propositi che abbiamo palesato agli altri, il risultato finale sarà quello di aver prodotto qualcosa di tangibile, il che aumenterà la fiducia che il prossimo ripone in noi. Al tempo stesso, accrescerà anche la nostra autostima, cosa che ci consentirà di intraprendere molto più facilmente il processo di miglioramento e crescita personale a cui tutti aspiriamo.
Se ciascuno di noi avesse chiara questa mirabile simbiosi esistente tra il dire e il fare, penso che difficilmente tra di loro frapporrebbe il mare!
E adesso, seconda parte della puntata ‘rivoluzionaria’!
Chi mi segue assiduamente saprà che nell’ultimo post  l’istinto e (dettaglio non trascurabile!) il cuore avevano guidato la mia scelta tra partire per Siena, scegliendo la carriera nel Monte dei Paschi, o restare a Napoli, scegliendo l’amore. Voi che avreste fatto? Personalmente, senza pensarci su troppo, optai per la seconda alternativa. Chi mi conosce e, soprattutto, sa che tipo di vita conducevo prima di accasarmi – sempre in giro, affaccendata tra lavoro, viaggi, amici, sport – avrebbe scommesso sulla mia scelta tutto quello che possedeva: di sicuro avrei sposato il lavoro e, soprattutto, il ritorno nell’amatissima ed agognatissima Siena! Ma, si sa, andare controcorrente è ciò che mi riesce meglio e, quindi, anche quella volta, non mi smentii. Sapevo che molti mi avrebbero aspramente criticato per questa decisione, soprattutto perché mi ero conquistata il rientro in Toscana con le unghie e con i denti.
Anche in questa delicata circostanza, fui aiutata da un grande pregio che ho la presunzione di riconoscermi: quello di non lasciare che il passato o il presente influiscano sul futuro che ho intenzione di scegliere per me stessa!
E’ vero, mi ero impegnata strenuamente, sia a livello fisico che psicologico, per ritornare a Siena, ma, alla luce dei nuovi accadimenti, era giusto che tutto venisse riconsiderato secondo un diverso ordine di priorità.
Solo col senno di poi avrei capito se avevo fatto la scelta giusta per me! Ma, confidando nel mio sesto senso, mi incoraggiava l’attendibilità di un altro proverbio: “Ogni lasciata è persa!”

mercoledì 23 marzo 2011

L'Asso di Denari

'A cajola pure 'ndurata è sempe nu carcere pe' l'auciello
(La gabbia, anche se dorata, è pur sempre un carcere per l'uccello)

Il proverbio odierno dovrebbe farci riflettere su come, oggigiorno, benché viviamo in democrazia, siamo liberi solo apparentemente.
Che cos’è per voi la libertà? Personalmente, vorrei esprimere la mia concezione di libertà con un’analogia. Forse la troverete limitata, ma indubbiamente rende bene l’idea della sensazione che si prova quando ci si sente liberi. Allora: avete presente quando una circostanza formale, che può essere il lavoro che svolgiamo o un evento pubblico a cui dobbiamo partecipare, ci impone di vestire abiti che non troviamo esattamente confortevoli? E cosa dire, per noi donne, delle amate-odiate scarpe con il tacco, che ci fanno apparire così femminili, ma che, alla fine del matrimonio o della grand soirée di turno, vorremmo semplicemente dare alle fiamme? Come ci sentiamo in simili circostanze? Come un uccello in una gabbia dorata: sfoggiamo la nostra mise più elegante, riceviamo apprezzamenti e complimenti per come ci siamo agghindati, eppure la nostra mente è ostinatamente focalizzata su un unico, persistente pensiero: una tuta comoda e un paio di morbide pantofole! Non è forse questa la vera libertà?
Ben consapevoli di questa verità, ci ostiniamo, tuttavia, a svilire non solo il nostro corpo ma anche il nostro spirito in abiti indubbiamente meravigliosi alla vista, ma tremendamente inospitali e mortificanti.
Anche gli spazi sempre più ristretti in cui la moderna società ci ha ridotto a vivere (o sopravvivere?) rappresentano un’umiliazione per la nostra anima, che, al contrario, desidera istintivamente ampiezza ed illimitatezza.
I moderni designers (per carità, tanto di cappello per la loro geniale inventiva!) riescono a pigiare in 40 mq cucina, bagno, camera da letto e studio, compresi barbecue e vasca idromassaggio! E noi, moderni ed inconsapevoli schiavi, siamo tutti tronfi di avere ogni cosa a portata di mano, di poter ridurre i tempi di pulizia delle nostre bellissime gabbie, di abbattere le spese domestiche, facendoci bastare i 1.500 euro al mese che il nostro magnanimo datore di lavoro ci passa, e, magari, mettendo addirittura da parte qualche spicciolo per una settimana di vacanza (però, a giugno o a settembre, perché costa meno!) nel villaggio 2 stelle “Mappatella Beach”!
Alla luce di queste considerazioni, sapete spiegarmi perché gli antichi, che sono gli unici che dovremmo emulare, costruivano opere imponenti e, allo stesso tempo, armoniose, destinate non ad uso privato, ma alla fruizione dell’intera collettività? La loro preoccupazione non era certamente quella di chi le avrebbe mantenute pulite o di quanta ricchezza ci sarebbe voluta per manutenerle, in quanto essi avevano fatta propria l’ancestrale intuizione che solo la grandezza, la magnificenza e la bellezza elevano davvero lo spirito e lo avvicinano al divino. E che cos’è la scoperta e il nutrimento della nostra dimensione spirituale se non un passo in più verso la libertà?  
Meditate, gente! Meditate!
E adesso ritorniamo alla mia insolita autobiografia!
Avevo finalmente ottenuto ciò che, per quasi quattro anni, avevo desiderato ogni singolo giorno della mia permanenza napoletana, vale a dire la possibilità di rientrare a Siena, badate bene, non dalla porta di servizio, ma dal portone principale. Difatti, la nuova mansione si accompagnava anche ad un consistente scatto di carriera, con i vantaggi in termini di prestigio e riconoscimento economico che potete facilmente immaginare.
Ma a quale prezzo avrei ottenuto tutto ciò? Avrei dovuto, presumibilmente, rinunciare ad Alessandro, visto che un rapporto a distanza alla veneranda età di 35 anni mi appariva altamente improbabile. Del resto, ad onor del vero, non subii da parte sua alcuna pressione: il peso della decisione finale fu lasciato, com’era giusto, interamente a me!
E se considerate che, per vocazione, almeno fino ad allora, non mi ero mai immaginata sposata, né tanto meno mamma di famiglia, capirete bene come la scelta si facesse ancora più difficile. Non aveva mai albergato in me il desiderio di maritarmi a tutti i costi, né quello di sperimentare le gioie della maternità, per cui, di fondo, non esisteva alcun forte motivo egoistico per orientarmi verso una direzione piuttosto che l’altra.
Eppure, non me la sentivo di disattendere le aspettative che una persona pura ed integra come Alessandro aveva riposto in me! Sarebbe stato come dargli un colpo alle spalle, ma, soprattutto, non avrei più potuto convivere serenamente con me stessa.
Indubbiamente, anche l’idea di tradire la mia bella Siena alimentava ulteriormente un diffuso stato di agitazione ed indecisione.
Tuttavia, alla fine ebbe il sopravvento il lato romantico del mio carattere, lato che Alessandro ebbe la capacità di far affiorare in maniera inattesa e sorprendente e, soprattutto, a dispetto delle mie radicate abitudini da gatta selvatica.
Sta di fatto che, da un momento all’altro, feci la mia scelta! Diedi un calcio alla carriera e mi tenni stretto il mio Asso di Denari!

martedì 22 marzo 2011

Partire o restare?

A tavola non si invecchia

Ritengo che il proverbio odierno avesse un suo fondo di verità ai tempi dei nostri avi, quando la vita veniva condotta in maniera più sana, quando, anziché in auto, ci si spostava pedibus calcantibus, come dicevano i latini, quando l’alimentazione era più genuina e i ritmi della quotidianità erano più lenti.
Oggi a tavola si rischia, nella migliore delle ipotesi, l’occlusione arteriosa. E’ andato completamente perso il culto della buona cucina, della sana dieta mediterranea, al punto che il genere di libri che incontra immancabilmente il gradimento del pubblico è quello che dispensa consigli definiti impareggiabili per correggere le nostre cattive abitudini alimentari. In realtà, questi testi rappresentano spesso la scoperta dell’acqua calda, in quanto basterebbe ripescare le vecchie ricette delle nonna e condirle con un po’ di buon senso per ottenere risultati uguali se non superiori!
Sicuramente a tavola non si invecchia se si considera il banchetto come ‘convivio’, ossia come momento di convivenza, come occasione in cui ci si ritrova per condividere le proprie esperienze in un’atmosfera rilassata ed informale. E se il pranzo è innaffiato da un bicchiere di buon vino, allora si può star certi che l’atmosfera sarà anche briosa…
Purtroppo, devo dire che anche questo aspetto della tavola non ha più la pregnanza di un tempo. Nel mio immaginario i veri banchetti sono quelli che si organizzano tra le mura domestiche con una nutrita compagnia di amici. Ma vuoi per la carenza di spazi ragionevoli, vuoi per la mancanza di tempo, abbiamo, nostro malgrado, perso anche il senso dell’accoglienza e, con esso, il retaggio atavico relativo alla conduzione della casa.
E allora quali conclusioni trarre da queste rapide riflessioni? Indubbiamente, sarebbe auspicabile un recupero dei valori domestici che furono propri delle nostre nonne, il che ci permetterebbe di riscoprire anche i veri piaceri della tavola e l’antica arte dell’ospitalità.
Come intendo tenere fede a questi propositi? Domenica prossima, ravioli fatti in casa, seguendo la premiata ricetta di Mamma Enza! Siete tutti invitati!
E adesso a noi! Nelle puntate precedenti vi ho narrato il singolare modo in cui avevo trovato marito. Tuttavia, se ricordate, nel post "Gli strani casi della vita", avevo accennato alla messa in moto della mia macchina da guerra per ritornare nell’amata Siena. La domanda di partecipazione alla selezione interna del Monte dei Paschi, per soli laureati a pieni voti, era stata da me prontamente spedita. L’Ufficio del Personale a Siena aveva, poi, provveduto a vagliarla diligentemente e, quindi, mi aveva convocato, insieme ad altri candidati, per sostenere le prove di selezione per le nuove mansioni.
Ma, intanto, un evento imprevisto si era frapposto in questa gloriosa avanzata: la comparsa sulla scena di Alessandro! Nonostante ciò, decisi, comunque, di recarmi a Siena per partecipare alla selezione. Le prove durarono tre giorni, trascorsi i quali ciascuno dei partecipanti rientrò presso la propria sede di lavoro, in attesa dell’esito.
Come avevo correttamente previsto, ero l’unica candidata esperta in economia ambientale, il che, unitamente al mio curriculum non proprio scadente e al consolidato orientamento della politica aziendale verso strategie di sostenibilità, mi dava un certo margine di vantaggio rispetto alla concorrenza.
Pertanto, l’esito del concorso era in qualche modo presumibile e non mi stupì oltre misura: dopo circa un mese mi venne ufficialmente comunicato di essere risultata tra i vincitori della selezione. A breve avrei dovuto trasferirmi a Siena, per cominciare una nuova avventura lavorativa!
In previsione dell’imminente trascolo, iniziai ad impacchettare le suppellettili del mio appartamentino. Mi ero procurata tutto il necessario: scatoloni, fogli di giornale, nastro adesivo. Ma qualcosa, e non è difficile intuire cosa, frenava il mio entusiasmo e la mia lena nei preparativi per la partenza.
Ero prossima all’ennesimo bivio della mia vita…

lunedì 21 marzo 2011

"Scusa, mi toglieresti una curiosità?"

Nun sputà 'ncielo ca 'nfaccia te torna
(Non sputare in cielo che ti ritorna in faccia)

Oggi vorrei prendere spunto dal proverbio di turno per spendere qualche riga sull’importanza e l’efficacia del processo di gratitudine. Vi sembrerà incredibile, ma per dare una svolta alla nostra vita, ciò che innanzitutto dobbiamo fare è esprimere sinceramente gratitudine per ciò che già possediamo, anche se non è esattamente quello che vorremmo. Se continuiamo a lamentarci del nostro stato, se ci guardiamo intorno e le uniche cose che riusciamo a vedere sono l’auto e la casa che non possediamo, o il partner e la salute che non abbiamo, non faremo altro che continuare ad attrarre sempre e soltanto le medesime situazioni. Tutti i sentimenti negativi come invidia, gelosia, rancore, insoddisfazione non faranno altro che attrarre ulteriormente proprio le cose che non vogliamo.
Viceversa, se impariamo ad usare efficacemente il processo della gratitudine, saremo sorpresi di constatare come gli accadimenti si predispongano favorevolmente nei nostri confronti, procurandoci esclusivamente ciò che è bene per noi.
Se non mi credete, provate un piccolo esercizio quotidiano: ogni mattina, prima di alzarvi, abituatevi a sentire gratitudine per il giorno che vi aspetta, come se l’aveste già vissuto. Sembra incredibile, eppure la vostra giornata vi apparirà diversa: tutto quello che vi accadrà, anche un contrattempo o un imprevisto, verrà da voi accolto positivamente e, probabilmente, sarà foriero di novità proficue.
Sebbene intuitivamente sia sempre stata convinta della veridicità di queste affermazioni, circa tre anni fa ne ho avuto conferma dalla lettura di un libro che ormai è diventato un best seller e che molti di voi già conosceranno: The Secret di Rhonda Byrne.
Vi invito  a prenderne visione e, se vi avvicinerete ad esso con animo libero da pregiudizi, ne trarrete delle vere e proprie rivelazioni!





 
E adesso ritorniamo alle novelle rivoluzionarie!
Dal momento in cui ci eravamo ritrovati, nel gennaio del 2002, la frequentazione tra me ed Alessandro divenne sempre più assidua, come sempre più assiduo divenne lo scambio di telefonate e di sms.
Un giorno, doveva essere all’incirca la fine di marzo, mi arrivò un messaggio dall’interpretazione alquanto opinabile. Il testo suonava più o meno così: “Scusa, mi toglieresti una curiosità? Quale sarebbe la tua reazione se, per ipotesi, ti chiedessi di sposarmi?”
Quelle parole mi lasciarono alquanto interdetta, visto che non si trattava esattamente di una proposta di matrimonio tradizionale – sapete, quelle che si fanno con tutti i crismi: cenetta a lume di candela in un locale esclusivo, accompagnata da musica soffusa, bagnata da uno champagne di annata e, magari, illuminata dal riverbero di un bel solitario da un paio di carati-.
No, miei cari! Niente di tutto ciò. La cosa veniva buttata lì a mo’ di semplice curiosità. E poiché sapevo bene di avere a che fare con una persona tutt’altro che stupida, decisi di giocare fino in fondo la partita affinché egli scoprisse le sue carte.
Pertanto, la mia risposta tramite sms fu interlocutoria: la sua curiosità non venne soddisfatta, ma neanche stroncata sul nascere. Attendevo di incontrarlo de visu per sondare meglio il terreno.
Quando ci vedemmo, con molto garbo gli chiesi chiarimenti sul messaggio che mi aveva inviato quella mattina, e, poiché lui non mollava la posizione tattica di cautela e circospezione, capii che era meglio non insistere.
Tuttavia, non potevo abbandonare proprio sul più bello una sfida così invitante e, pertanto, sferrai il mio attacco. Visto che egli non veniva allo scoperto spontaneamente, per costringere il ragno ad uscire dal buco, gli dissi: “Riguardo la tua proposta, e solo perché non voglio lasciarti con una così grande curiosità addosso, ti dico che la mia reazione probabilmente sarebbe positiva”.
Non voglio addentrarmi oltre nella strana meccanica di quella ancor più strana proposta. Vi basti sapere che, sebbene Alessandro non avesse mai esplicitamente chiesto la mia mano e io non avessi mai esplicitamente accettato, dopo qualche giorno fissammo la data del nostro matrimonio:  sabato, 5 ottobre  2002!

sabato 19 marzo 2011

Lo stillicidio

Con i se e con i ma la storia non si fa

Che belli i tempi che furono, i tempi delle conquiste, dei grandi imperi e degli antichi splendori!
Nell’epoca delle democrazie moderne, dell’orgoglio nazionalistico, della valorizzazione delle tradizioni e delle peculiarità locali, un’affermazione del genere può apparire fuori dal tempo, se non, addirittura, irriverente! Tuttavia, in molti avrete intuito che le mie sono ironiche provocazioni, briosi spunti per più profonde riflessioni. Ecco perché vi invito a leggere tra le righe e a trarre, poi, le conclusioni che riterrete opportune.
Nel caso specifico, ciò che esalto non è tanto la conquista di un nuovo territorio da annettere ad un impero in espansione, quanto, piuttosto, la inamovibile determinazione che animava e rendeva compatti i conquistatori. Essi vivevano ed agivano in virtù di un ideale forte, giusto o sbagliato che fosse, e questo loro incrollabile credo li rendeva capaci di compiere gesta eccezionali. E considerato che all’epoca non esistevano i media come strumento di divulgazione di massa, appare ancor più incredibile la fermezza e la volontà che tenacemente animavano quei popoli nei loro chiari disegni di espansione ed ascesa. Indubbiamente, i ‘se’ e i ‘ma’ non trovavano alcuno spazio nei loro vocabolari!
Oggi, abituati come siamo ai moderni prodigi della tecnologia e delle comunicazioni, ci appare relativamente semplice l’idea di tenere sotto controllo in tempo reale aree geograficamente molto estese. Ma proviamo a proiettarci con l’immaginazione indietro nei secoli, quando le strumentazioni e i mezzi a disposizione erano molto più rudimentali… Tenuto conto di ciò, gli antichi splendori cui le civiltà del passato diedero vita non vi appaiono, se possibile, ancor più straordinari?    
E cosa dire degli ’splendori’ moderni? Beh, l’unica cosa che mi viene in mente è un grasso no comment: i fatti parlano eloquentemente da soli!
E adesso, dopo il proverbio di apertura, come, al solito, passiamo alla seconda parte del nostro piacevole (spero!) rendez-vous.
Per non tediarvi, non mi soffermerò oltre sugli appuntamenti che seguirono al primo incontro tra me e Alessandro. Vi basti sapere questo singolare dettaglio: egli riuscì a conquistarmi con la sua abilità nel riparare un termosifone del mio appartamentino, che gocciava acqua da tempo immemorabile. La cosa andò così: una sera decisi di invitare a cena Alessandro ed Alberto, preparando per loro qualcosa di semplice e gustoso. I miei amici accettarono con piacere e dimostrarono di gradire molto sia le pietanze che la sistemazione del mio piccolo rifugio. Tuttavia, un particolare non era sfuggito all’occhio clinico di Manny Tuttofare (per i profani, trattasi di un cartone animato trasmesso dal canale Playhouse Disney, il cui protagonista, aiutato da una serie di attrezzi parlanti, è praticamente capace di riparare anche l’impossibile): per l’intera durata della cena, Alessandro aveva continuato a buttare l’occhio sulla goccia che, insistente e fastidiosa, seguitava a colare dal termosifone del soggiorno, terminando la sua corsa in una piccola e graziosa ciotola di porcellana che avevo sistemato sotto la perdita. Alla fine della cena, incline com’è alla precisione e all’ordine, egli mi chiese del nastro isolante, assicurandomi che avrebbe soppresso in pochi istanti l’insolenza della goccia. Provvidi a fornirgli quanto richiesto ed effettivamente Manny pose fine allo stillicidio in maniera veloce, drastica e definitiva. Vi sembrerà strano, ma, a quella vista, la mia mente di incallita e convinta single fu attraversata dal seguente rapido pensiero, che, altrettanto rapidamente, provvidi a scacciare: “Questo uomo è da sposare!”

venerdì 18 marzo 2011

Uno strano presentimento

Femmene, ciucce e crape... tenen tutt' 'a stessa capa
(Femmine, asini e capre... hanno tutti la stessa testa)

So bene che tale proverbio può risultare irrispettoso se non, addirittura, offensivo per molte delle lettrici connesse. Tuttavia, mi sono concessa questa licenza per due motivi: innanzitutto, perché, facendo parte del gentil sesso, non ho la pretesa di ritenermi esclusa dal novero in questione, e, in secondo luogo, perché la citazione di oggi, ancora una volta, era una delle preferite di mio padre. Vi sarà, ormai, evidente che il caro Babbo Diego era solito riassumere con i proverbi napoletani tutto un universo di considerazioni e pensieri personali, e lo faceva in una maniera così simpatica e bonaria che anche il più insolente dei modi di dire, in bocca a lui, appariva quasi un complimento, o, comunque un benevolo pretesto per sdrammatizzare la situazione.
Nel post "Straordinarie coincidenze a Siviglia", avevo già accennato all’intolleranza che mio padre, guidatore provetto, manifestava in maniera folcloristica verso gli imbranati al volante. Dopo le persone anziane, a cui spassionatamente consigliava di rimanere a casa a fumarsi ‘na pippa (traduco: una pipa), il suo bersaglio preferito erano le donne. In particolare, esse davano il meglio di sé nei parcheggi (ma anche nelle partenze in salita non erano da meno). Sicché, quando egli assisteva al vano e ripetuto tentativo di parcheggiare una piccola utilitaria in uno spazio che avrebbe potuto accogliere un TIR (ora sto esagerando un po’!), non poteva esimersi, come suo solito, dall’intervenire per risolvere il problema alla fonte: chiedeva alla signora di turno di scendere dall’auto e provvedeva ad effettuare personalmente il parcheggio a velocità supersonica, accompagnato dal tifo calcistico di tutti gli altri automobilisti in coda. Dopodiché, rientrava in macchina, pienamente soddisfatto per aver concluso con successo un’altra missione da Superman e condendo il tutto con la citazione del proverbio odierno!
E adesso ritorniamo alla narrazione delle mie vicende. Sono sicura che molti di voi si stanno chiedendo come andò a finire la faccenda dell’incontro con il misterioso compagno del liceo.
Ovviamente, non mollai la presa, curiosa com’ero di appurare de visu la sorprendente trasformazione di cui egli era stato artefice. Eppure, avrei dovuto ricordare che un famoso proverbio inglese, tanto per rimanere in tema di citazioni, recita: Curiosity killed the cat, ossia La curiosità uccise la gatta.
Anyway… Ormai avevo preso la mia decisione e, com’è tipico del mio stile, dovevo andare fino in fondo.
Pertanto, senza indugiare oltre, lo richiamai, rinnovando l’invito ad incontrarci. A quel punto, egli non poté tirarsi indietro, anche perché non esisteva alcun razionale motivo per declinare la proposta.
La sera dell’appuntamento arrivò. Eravamo agli inizi del 2002, immediatamente dopo l’Epifania. Non avevo alcuna aspettativa in particolare, se non il piacere di incontrare un amico di vecchia data. Lui mi aspettava dinanzi all’ingresso di casa e, quando ci vedemmo, la prima cosa che gli dissi fu: “Che piacere rivederti! Sei rimasto lo stesso, se non fosse per qualche ruga in più intorno agli occhi!” Chissà se lo prese come un complimento o come qualcosa di diverso. Sta di fatto che anche lui fu felicissimo di quell’incontro.
Ci recammo in una famosa pizzeria del Vomero, dove ci raggiunse un altro compagno di classe, Alberto, che pure non vedevo da una vita. Il tempo letteralmente volò, raccontandoci sprazzi della nostra vita vissuta.
Alessandro (beh, ormai lo avrete capito che il misterioso amico sarebbe poi diventato mio marito!) non sembrava affatto il ragazzo ombroso ed introverso che avevo conosciuto al liceo: ora appariva radioso, allegro ed operativo! Questa piacevole scoperta maturò in me uno strano presentimento: la cosa non poteva finire lì, e una Gemelli ascendente Gemelli raramente si sbaglia!

giovedì 17 marzo 2011

La curiosità è femmina

Ogni promessa è debito

Mio padre mi ha insegnato che nella vita la parola data conta più di qualunque contratto scritto. Quando lui dava una stretta di mano, cascasse il mondo, manteneva sempre l’impegno preso o la promessa fatta. Eppure, da bambino, era cresciuto per strada, in un quartiere prossimo al porto di Napoli, denominato, per l’appunto, Porto, e, quindi, conosceva bene tutti gli espedienti, più o meno leciti, per sopravvivere in un periodo di fame e di guerra. Ricordo sempre con molta commozione ed ammirazione un episodio che più volte mi ha narrato, in cui fu protagonista di una vicenda che, oggigiorno, ai nostri occhi apparirebbe inverosimile, abituati come siamo all’abbondanza e, talvolta, allo spreco. Essendo il secondo di sette figli, nonché il primo dei maschi, veniva spesso responsabilizzato nei confronti dei fratelli e sorelle minori. Nonno Alberto, ufficiale nell’esercito, aveva impartito una disciplina molto rigida ai figli, trasmettendo soprattutto a Babbo Diego un radicato senso dell’onore e della responsabilità.
In un giorno molto piovoso, Nonna Anna diede a mio padre il denaro contato per comprare una pagnotta, con la quale ella avrebbe provveduto a sfamare (almeno in parte!) la sua nutrita nidiata. A quell’epoca, mio padre era poco più di un ragazzo. Acquistato il pane, egli tentò di preservarlo dalla pioggia battente stringendolo tra il braccio e il fianco, ma, poiché, era a sua volta tutto inzuppato, pensò di accelerare il rientro a casa aggrappandosi alla parte posteriore di un tram in corsa. Ma ecco che, in quell’atto, allentò la presa e la pagnotta finì rovinosamente sul selciato, centrando in pieno una profonda pozzanghera. A quella vista, il ragazzo si lanciò prontamente dal tram ed andò trafelato a recuperare il pezzo di pane: quello doveva essere il pranzo per sé ed i suoi fratelli! Purtroppo, il prezioso bagaglio aveva perso tutta la sua fragranza, trasformandosi in un ammasso molliccio. Eppure, Babbo Diego, a cui la strada aveva insegnato la rapidità di pensiero ed azione, non si perse d’animo neanche in quell’occasione: prese il pezzo di pane, lo strizzò ben bene alla stregua di un cencio appena lavato, e, come se nulla fosse successo, riprese la strada di casa.
Dopotutto, aveva rispettato il suo impegno, e quel giorno, a tavola, nessuno ebbe alcunché da ridire!
E adesso, punto e a capo.
Eravamo rimasti al casuale ritrovamento di un pezzetto della mia adolescenza, ossia al riallacciamento dei contatti con un mio compagno del liceo in circostanze del tutto fortuite.
Udire la sua voce al telefono, a distanza di tanti anni, mi riportò istantaneamente indietro nel tempo, inondandomi dolcemente di una sensazione calda ed avvolgente. Avevo la percezione, se non la certezza, che, nonostante il tempo, la distanza e le diverse esperienze vissute, un filo invisibile, estendibile a piacere e, soprattutto, tenace e resistente più dell’acciaio, avesse continuato a tenere in vita un qualche legame tra di noi. Ne era prova l’intesa schietta che si era sin da subito instaurata nella nostra interazione.
Poiché egli era impegnato, non potemmo discorrere a lungo, sicché ci salutammo con la promessa di mantenerci in contatto. Non posso affermare con certezza se la seconda telefonata fu una mia o una sua iniziativa. Ricordo solo che, quando ci risentimmo, speravo che lui mi invitasse per un caffè, un aperitivo, una pizza, una cena, insomma qualsiasi cosa che mi permettesse di rivederlo. Ero troppo curiosa di capire cosa avesse generato una trasformazione così radicale (e in positivo!) nel suo modo di fare e di parlare. E, si sa, la curiosità è femmina…
Attesi per tutta la durata della conversazione telefonica, ma niente da fare! Il tipo manteneva fermamente la sua posizione, per cui l’unica mossa possibile fu l’attacco frontale: senza girarci troppo attorno, gli proposi di incontrarci, e indovinate un po’ la sua risposta? Non fu né un sì né un no. Si limitò a prendere tempo, forse perché aveva intuito di andare incontro ad un oggetto non ben identificato, ma di sicuro pericoloso e difficilmente aggirabile. Non sapeva, però, di avere difronte la perseveranza fatta persona…

mercoledì 16 marzo 2011

E quel giorno il destino bussò alla mia porta...

'E ffemmene nun se sanno tené tre cicere 'mmocca
(Le donne non sanno tenere tre ceci in bocca, ossia non sanno tacere)

E’ proprio vero! Quanto amiamo le chiacchiere noi donne! Privarci di questo impagabile passatempo sarebbe come defraudarci della nostra quintessenza. Nel mio immaginario, ma anche nella mia esperienza, uno dei momenti più appaganti e desiderati rimane l’incontro con qualche cara amica in un’accogliente sala da tè, dove spendere un pomeriggio fatto di chiacchiere, confidenze e risate, immerso nella fragranza di tiepidi aromi e suggellato dalla complicità di una frequentazione di vecchia data.
Ma, badate bene, ciò che ha veramente importanza non è il contenuto verbale dell’incontro, quanto, piuttosto, la condivisione di un’esperienza. Si tratta di momenti semplici, ordinari, ma che assumono un valore non comune grazie al prodigio che la segreta intesa di due vere amiche è capace di sprigionare. Se le osservaste senza fretta, con sguardo attento e paziente, vi rendereste conto di come esse siano avvolte da una suggestione radiosa ed inviolabile, da una fascinosa energia di cui vorreste godere, ma che, purtroppo per voi, è esclusivo appannaggio di quella stupefacente alleanza. Difronte ad uno spettacolo del genere, non vi rimane che risplendere di luce riflessa, ma è meglio di niente, non credete?
E adesso, dalle chiacchiere delle donne passiamo alle chiacchiere della bancaria!
Al momento del mio rientro a Napoli, dopo oltre un decennio trascorso in Toscana, un ulteriore scoglio da superare fu la totale recisione che, in quell’ampia parentesi, avevano subìto tutti i miei legami partenopei. Le amicizie dell’infanzia e dell’adolescenza, a lungo non coltivate a causa dell’inevitabile dispersione dovuta alla distanza, erano diventate un ricordo sbiadito e, in molti casi, risultava difficile tornare sulle tracce delle vecchie conoscenze.
Mi adattai, pertanto, a ricominciare da zero anche in fatto di amicizie, ed essendo per natura socievole e comunicativa, non ebbi grandi difficoltà. Certo, gli amici del passato mi mancavano, soprattutto per il bagaglio di ricordi che avremmo potuto condividere. Quand’ecco che, all’improvviso, sul finire del 2001, giunse all’indirizzo di mia madre una missiva di auguri natalizi, che ella provvide, ovviamente, a girarmi. E chi saltò fuori dalla busta, inaspettato e, ormai, da tempo immemorabile, accantonato? Quel malinconico e, successivamente contestatore, compagno di classe di cui non avevo avuto più alcuna notizia dai tempi della maturità.
Erano, dunque, trascorsi oltre 15 anni, per cui, immediatamente dopo il piacere istantaneo procurato dall’inatteso riaffiorare del passato, la mia seconda sensazione fu di perplessità: mi chiedevo come mai, a distanza di tanto tempo, fosse giunta quella lettera, improbabile come un fulmine a ciel sereno.
Per fugare ogni dubbio, non rimaneva altro da fare che risalire alla fonte. Il biglietto di auguri proveniva dal mio vecchio compagno di classe in qualità di titolare di uno studio di amministrazione di beni immobili. L’indirizzo era stampato su un’etichetta adesiva, poi applicata sulla busta, il che mi fece intuire che non dovevo essere stata l’unica destinataria di quella missiva.
Comunque, decisi di prendere il toro per le corna e, afferrato il telefono, composi il numero riportato sulla carta intestata.
Mi rispose una voce chiara ed operativa, espansiva e comunicativa, che pochissimo aveva a che fare con il ricordo dell’introverso ‘filosofo’ del periodo liceale.
Quando svelai la mia identità, lui fu, se possibile, ancora più sorpreso di me, in modo, ovviamente, piacevole. Nonostante fosse trascorso tanto tempo, era come se ci fossimo sentiti appena il giorno prima, tale era il coinvolgimento e la complicità che istantaneamente si insinuò nel nostro agile discorrere. Gli chiesi come mai avesse deciso, improvvisamente e a distanza di tanti anni, di inviarmi quella lettera. Lui, candidamente, mi rivelò che, in quella circostanza, era stato aiutato dal caso: il mio nome, presente nel suo affollatissimo archivio con l’indirizzo della casa paterna, era accidentalmente capitato in un lungo processo di stampa, divenendo, ad insaputa del mittente, destinatario dell’ormai famosa missiva.
Sorrisi tra me e me, pensando che ancora una volta il caso stava giocando le sue carte nella partita della mia vita!