lunedì 31 gennaio 2011

A Maria Rosaria

A caval donato non si guarda in bocca!

E’ uno dei proverbi cui spesso ricorro nel momento in cui cerco di far capire ai miei figli quanto tutto ciò che ci arriva in dono sia qualcosa di speciale e di irripetibile, di cui dobbiamo essere grati a prescindere se il dono sia o meno di nostro gradimento. I bambini di oggi sono abituati a ricevere troppo facilmente, con la naturale conseguenza di sminuire l’intrinseco valore del gesto del donare, valore, che, come non vi sarà difficile immaginare, va ben oltre il semplice passaggio di un oggetto da una mano all’altra. In quell’atto si racchiude tutta la magia che ne accompagna le varie fasi: l’individuazione sapiente del regalo, la sua ricerca, volta a scovare esattamente quello che la nostra mente e il nostro cuore hanno concepito, la sua scelta, che ci fa orientare verso l’oggetto per cui proviamo maggiore affinità, e, infine, il passaggio vero e proprio dalle nostre mani a quelle del destinatario, il momento, ovviamente, più emozionante, in quanto sperimentiamo in maniera tangibile la nostra capacità di procurare felicità agli altri. Ne consegue che, se il destinatario non apprezza il nostro dono, la magica costruzione concepita dalla nostra mente ci crolla addosso come un macigno e ci fa sentire fallibili proprio con le persone che ci stanno più a cuore. Pertanto, quando i vostri figli, pieni di orgoglio, vi portano in regalo un disegno che definire picassiano è un complimento, mi raccomando, la cosa migliore che possiate fare sono salti di gioia fino al soffitto!
E adesso, ritorniamo a noi… Siete curiosi o no di sapere chi è l’angelo che abbassava il sipario sul mio ultimo post? Ebbene, un po’ di pazienza ed anche questo tassello troverà la sua collocazione.
Per accedere alla frequenza della Scuola di Specializzazione per Funzionari e Dirigenti Pubblici (questa la sua denominazione per esteso), era obbligatorio superare un esame di ammissione, consistente in una prova scritta ed avente ad oggetto nozioni  per lo più di diritto pubblico.
La prova venne fissata presso un’aula della Facoltà di Scienze Economiche e Bancarie. Non rammento esattamente la data, ma doveva essere il principio di ottobre del 1992. Eravamo una ventina a concorrere e ricordo che i banchi erano stati disposti a formare un quadrilatero. Su uno dei lati, proprio quello che si parava di fronte aprendo la porta dell’aula, era seduto il direttore della Scuola di Specializzazione, nonché professore ordinario di Diritto Pubblico presso la stessa Facoltà. Alle sue terga, con una mano poggiata sulla spalliera della poltrona in pelle in cui era accomodato il professore, si affacciava per metà la figura di una donna minuta, sulla cinquantina,  dagli occhi vispi e dal sorriso sincero. Non sapevo quale fosse il suo ruolo in quel contesto,  eppure, dal momento in cui i nostri sguardi si incrociarono, si sprigionò una strana alchimia. Il caso volle che, durante la prova, fossi seduta proprio di fronte a quella magnetica creatura. Vi sembrerà incredibile, ma per tutto il tempo, avvertii la chiarissima percezione che lei stesse lì per un motivo ben preciso, ossia per accompagnarmi in quella prova e vegliare su di me. Era come se quella mano, poggiata sulla spalliera ad un paio di metri di distanza, fosse in realtà sulla mia spalla e mi trasferisse calore e serenità. Questa sensazione era così forte e penetrante che non potevo esimermi, di tanto in tanto, dal sollevare gli occhi dal foglio per cercare i suoi.  E, immancabilmente, lei era a lì, a guardarmi dolcemente. Mi sembrava (ma forse questa era solo una mia percezione) quasi sul punto di piangere, tale era la gioia e l’energia che si sprigionava ogni volta che le nostre anime venivano in contatto.
Superai la prova e, solo con l’inizio dei corsi, nel gennaio del 1993, scoprii l’identità di quell’angelo. Ricopriva la funzione di segretaria della Scuola ed indovinate un po’ di dov’era? di Napoli, un’altra magica coincidenza! Il suo nome aveva un suono antico e rassicurante, proprio quello che istintivamente le avrei attribuito pur non conoscendola: Maria Rosaria.
Al nostro primo incontro presso Villa Chigi Farnese, le poche parole che ci scambiammo confermarono in pieno la reciproca affinità e suggellarono l’inizio di un’amicizia e di una complicità senza tempo.
Durante l’intera parentesi senese, questa donna è stata presente nella mia vita ogni giorno, sostenendomi nei momenti tristi (alludo alla morte di mio padre) e rallegrandomi in quelli più lieti. Trascorrevamo ore intere a raccontarci di tutto e il suo linguaggio, generalmente così compìto, in mia presenza riacquistava tutto il brio e l’incisività del dialetto napoletano.
Devo tanto a questa piccola grande donna, piccola nelle fattezze, ma grande nella bontà d’animo e nella generosità.
Le devo una valanga di risate, tanti insegnamenti di saggezza antica, molteplici esempi di magistrale conduzione della casa, ma soprattutto le devo la rivelazione di un inestimabile segreto: una superba ricetta del babà che farebbe invidia alla migliore delle pasticcerie napoletane e che io riproduco ogni volta con assoluta fedeltà.
Se non mi credete, appena mi cimenterò nuovamente nell’impresa, aggiornerò il blog con un'eloquente foto, ma, per quanto riguarda il sapore, dovrete fidarvi di me o, meglio ancora, affidarvi al vostro sesto senso.
Nel frattempo, vi saluto caramente e vi aspetto numerosi al prossimo incontro!

1 commento:

  1. il tuo blog è sfizioso, oggi ho letto questo post ma conto di ripassare

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