martedì 1 febbraio 2011

La dipartita

'O cane mozzeca sempe 'o stracciato
(Il cane morde sempre lo straccione)

Che dire di questo proverbio?  Riflette la mia filosofia di vita al contrario, nel senso che, se è vero (ed io ne sono assolutamente convinta!) che ciascuno di noi è artefice della sua fortuna, un atteggiamento lamentoso circa il proprio stato, una visione pessimistica del mondo, diffidenza e criticismo verso gli altri non faranno che produrre sempre, o, addirittura, amplificare, il medesimo effetto.
Provate, invece, ad essere grati ogni giorno per quello che avete, anche e soprattutto per le piccole cose, abbiate fiducia nelle vostre capacità, cambiate il vostro stato se non vi aggrada, guardate agli altri con fiducia ed apertura mentale, e vedrete che il cane, anziché mordervi, vi scodinzolerà intorno tutto contento! Ciò che ha veramente importanza è il nostro atteggiamento mentale, la nostra ferma credenza che il bicchiere sia sempre mezzo pieno e che possa essere riempito quando lo vogliamo.
Circondatevi di persone positive, solari, allegre e, se ciò non vi è possibile, evitate le persone con le caratteristiche opposte, perché, purtroppo, loro malgrado, vi trascineranno a fondo. Ciò detto, spero che in questo momento, miei cari lettori, stiate tutti proclamando a gran voce: “E’ questo il motivo per cui continuiamo a seguirti, Silvana!”
Forte di questa speranza, vado, allora, a riprendere le fila del discorso.
I due anni della specializzazione furono un periodo molto duro persino per una persona volitiva ed ottimista come me, in quanto, proprio in quel biennio, dal 1992 al 1994, dovetti confrontarmi, insieme alla mia famiglia, con la malattia del mio caro papà. La cosa più difficile da accettare fu il dover ammettere che anche una quercia come lui poteva essere abbattuta dagli insulti della vita. Mio padre fu stroncato da un tumore all’apparato digerente, ma, essendo di tempra forte, il suo fisico ingaggiò con il terribile male una vera e propria battaglia senza esclusione di colpi. All’inizio reagì bene, ma poi, dopo circa un anno vissuto con il sostegno di una flebile speranza, la situazione cominciò a precipitare, finché egli dovette arrendersi e deporre le armi.
Non potrò mai dimenticare la sua dignità e la sua capacità di sopportare il dolore in silenzio. Anzi, vi dirò di più! Pure nella sofferenza, egli non perse mai il suo innato senso dell’umorismo. Ed è proprio con questa veste che continuerò a ricordarlo, quella di napoletano burlone dal cuore d’oro, sempre pronto a dare una mano agli altri disinteressatamente, sagace ed ironicamente dissacratorio.
La sua perdita, come potete immaginare, lasciò un vuoto incolmabile, produsse uno strappo lacerante.
Solo a distanza di un anno e più ero riuscita ad alleggerire la pressione del macigno che ancora mi stringeva il cuore e la gola e che, fino ad allora, aveva reso pesante ogni mio respiro.
La sensazione straziante dell’irreversibile distacco non avrebbe mai avuto fine, anche se il tempo, con il suo scorrere inesorabile, ne avrebbe stemperato i contorni e sbiadito l’opprimente grigiore.
La mia vitalità, alimentata e rafforzata dalla certezza che mio padre, in un modo o nell’altro, avrebbe continuato a starmi vicino, cominciò progressivamente a prendere il sopravvento sulla mestizia e sul disorientamento.
L’araba fenice stava risorgendo dalle sue ceneri!

Nessun commento:

Posta un commento