Meglio essere 'o l'urdemo d'e cavalle che 'o primm d'e ciucce
(Meglio essere l'ultimo tra i cavalli che il primo tra gli asini)
A cosa vi fa pensare il proverbio di oggi? Che nella vita non dobbiamo mai sottovalutarci, mai credere che non siamo all’altezza di affrontare una situazione nuova o imprevista. Dobbiamo visualizzare noi stessi come dei cavalli di razza, pronti a scattare quando le circostanze, avverse o meno che siano, sparano il colpo di partenza, e concentràti a raggiungere la meta, fino a che non tagliamo il traguardo. Forse non tutti possediamo questa capacità, ma vi assicuro che si può acquisire ed affinare nel tempo. E’ come quando un bimbo comincia a muovere i primi passi: non è pensabile che egli si cimenti da subito nella corsa ad ostacoli, ma, indubbiamente, sulla lunga distanza, sarà in grado di raggiungere quell’obiettivo. Gli sarà richiesto un considerevole impegno, dovrà mettersi alla prova giorno dopo giorno, ma, alla fine, acquisirà sufficiente fiducia nella capacità delle sue gambe di sorreggerlo. E’ questo il motivo per cui dovete, comunque, sentirvi “cavalli” e non “asini”. Solo in questo modo avrete la possibilità di giocare alla pari le sfide che la vita inevitabilmente vi propone. Del resto, che cos’è la nostra esistenza se non il cammino verso un progressivo miglioramento?
E adesso a noi! Desidererei dedicare questo decimo post ad un’altra mia grande passione, che da un po’ di tempo, dato il mio mestiere di tre volte mamma, ho forzatamente accantonato, ma che dentro di me continua a puntare i piedi e a chiedere soddisfazione dei torti, mio malgrado, subiti. Sto parlando, signori miei, del cinema, quell’ipnotizzante universo che, se ti cattura nelle sue maglie, ti imbriglia a tal punto da non potertene, e non volertene, più liberare. E’ una di quelle malattie che ti fa piacere non curare affinché non passi mai, è uno di quei chiodi fissi che non vuoi scacciare dalla mente perché per la mente è linfa vitale…
Forse sto esagerando, ma vi assicuro che, ogni volta che mi accingevo a vedere un nuovo film, il mio animo rimaneva sospeso in una suggestione di trepidante attesa, che tendeva a dissiparsi e a trasformarsi in puro piacere ed appagamento man mano che la pellicola scorreva sotto i miei occhi attenti.
Ogni film era come un viaggio fantastico intrapreso dall’anima, viaggio che aveva un inizio, ma non una fine, in quanto le emozioni che esso era capace di regalarmi sarebbero rimaste per sempre serbate in un angolo del mio più profondo sentire.
Siena, ancora una volta, si dimostrò incomparabile compagna anche in quest’avventura senza fine. Esistevano, difatti, diverse sale, quasi tutte concentrate al di qua delle mura, per cui, alle volte, non perdevo occasione per uscire da un cinema e, a passo rapido, raggiungerne un altro, pronta per una nuova visione. Il mio preferito era il cinema Nuovo Pendola (non so se esiste ancora…), piccolo e poco distante da casa mia, che proiettava solo film d’essai. Più che proporsi alla vista come una sala cinematografica, mi appariva, o, meglio, lo percepivo, come la sede di un circolo riservato a pochi eletti, di cui ero orgogliosa di far parte. Conservo ancora oggi i biglietti di ingresso a tutte le prime visioni, corredati di data e di un piccolo commento.
Spesso, per scelta, assaporavo e respiravo queste esperienze in solitudine, come accade per tutte le cose che mi coinvolgono fortemente a livello emotivo, ma, dovendo optare per una compagna di viaggio, la scelta cadeva sempre ed immancabilmente sulla mia cara amica Luisa. Di poco più giovane di me, calabrese di nascita, ma senese di adozione, la conobbi nell’ambito universitario. Bastò poco per capire che tra noi tante erano le affinità, anche se caratterialmente eravamo e rimaniamo molto diverse.
Ammiro in lei la sua pacatezza, la sua serenità, la sua bontà, la sua dolcezza. E la mia ammirazione è cresciuta, se possibile, ancora di più da quando, con suo marito Massimo, senese doc, ha scelto di diventare mamma di un bimbo filippino di cinque anni. Tutte noi sappiamo come sia arduo il mestiere di mamma, eppure lei non si è tirata indietro di fronte ad una sfida irta di ulteriori difficoltà, quali l’età già avanzata del bimbo e l'ostacolo iniziale di un idioma diverso. Ma ora, a sentire come canta Sonni (questo il suo nome) in giro per casa quando sono al telefono con Luisa, capisco che il sereno è già arrivato.
E chiudo con un invito a mio marito Alessandro, che dice di non amare il cinema perché “alla fine del film non puoi portarti niente dietro, neanche una sedia!”. L’invito è quello d’ora in poi di guardare al cinema con occhi nuovi, magari i miei, anche se, lo so, a lui basta stare nel buio della sala vicino a me!
sempre più bello e coinvolgente. e ti riconosco tale quale come sei. grazie.
RispondiEliminaLa gold card di Tre ci aspetta ... a quando il prossimo?
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