A carocchia a carocchia, Pulecenella accerette 'a mugliera
(A forza di darle colpi in testa, Pulcinella uccise la moglie)
Il proverbio di oggi allude chiaramente alla capacità che hanno comportamenti lievemente dannosi, ma reiterati, di provocare una catastrofe.
L’immagine che mi affiora alla mente è quella di un bambino che combina una marachella e, invece di andare dalla mamma a confessare l’accaduto, occulta il danno e si nasconde dietro un colpevole silenzio.
Ma tutti i nodi vengono al pettine, e, quando la mamma si accorge della marachella e chiama suo figlio a rapporto, questi peggiora la sua posizione negando l’accaduto. Messo alle corde, il bambino ammette che qualcosa è davvero successo, ma si ostina a tirarsi la zappa sui piedi, scaricando la colpa sul fratello minore di turno. Finché la mamma, ormai stizzita e delusa dal comportamento manchevole del figlio, lo redarguisce pesantemente e lo costringe ad assumersi la sue responsabilità, infliggendogli una punizione esemplare.
Ora, vi chiedo, la cosa più saggia da fare non sarebbe stata quella di vuotare il sacco sin dall’inizio? La risposta è ovvia e, allora, vi chiedo ancora: “Perché continuiamo a comportarci come bambini anziché come persone responsabili?”
Alla luce di questo domandone, torniamo agli annali toscani.
Nei dieci anni di vita senese avevo finalmente raggiunto il mio equilibrio: la possibilità di vivere da sola e di gestire autonomamente la quotidianità era ciò che la rivoluzionaria presente dentro di me aveva sempre sognato, ma farlo nella città a me più congeniale, in un’accogliente dimora in cui la mia anima trovava rifugio, coltivando appieno le mie passioni, era oltre quanto avrei mai potuto desiderare.
Siena, come la più fedele e sensibile delle amiche, offriva sempre il meglio di sé per soddisfare ogni mia istanza, stando bene attenta ad assecondare le molteplici sfaccettature del mio carattere. Mi porgeva delicatamente la sua incantevole campagna quando avevo bisogno di silenzio e di solitudine, ma era in grado dii presentarsi briosa ed affollata quando desideravo stare in compagnia della gente.
Spesso ammiccava in maniera talmente invitante che non potevo sottrarmi alle sue lusinghe: afferravo la mia macchina fotografica e me ne andavo in giro, a piedi o in auto, alla ricerca di un particolare non ancora scoperto o di un angolo ancora nascosto. Avevo l’impressione che la città si mettesse in posa come la più navigata delle mannequin, affinchè io le rubassi con le mie foto attimi della sua millenaria esistenza.
In una tiepida mattinata primaverile mi tenne in ostaggio per oltre quattro ore sulla Torre del Mangia (per intenderci, la torre del Palazzo Comunale che sovrasta Piazza del Campo). Il suo intento era quello di farsi fotografare dall’alto a 360°, seguendo man mano gli spostamenti del sole. Ci volle un bel po’ di pazienza, ma Siena meritava questo sacrificio. Il risultato fu una sequenza di foto che, affiancate l’una all’altra a mo’ di puzzle, permettevano di vedere in piano ciò che l’occhio aveva ammirato in tre dimensioni.
Amavo molto questi scorci di tempo, più o meno lunghi, dedicati a coltivare una mia passione, ma soprattutto dedicati a dare nutrimento alla mia anima affamata. Era un processo che non aveva mai fine: correre, fotografare, leggere, andare al cinema, ascoltare buona musica, assorbire l’energia del sole, stare in solitudine, stare in compagnia, placavano per un po’ l’irrequieta vitalità del mio animo, ma il giorno dopo tutto, per fortuna, ricominciava da capo!
Ancora non sapevo che questo meraviglioso incantesimo stava per andare in frantumi e che il destino aveva in serbo per me un amaro risveglio.
Volete saperne di più? Beh, pazientate fino a domani e sarete accontentati…
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