T'aggia 'mpara' e t'aggia perdere
Il mio destino dev'essere di insegnarti (a vivere, un mestiere) e poi di perderti
Il proverbio di oggi è molto comune tra i napoletani e vi si ricorre quando si mostra a qualcuno come comportarsi o come fare qualcosa di cui non si è ancora capaci. Tuttavia, vorrei richiamare la vostra attenzione non tanto sulla prima parte del proverbio, quella che, appunto, fa riferimento all’atto di insegnare (notate che in napoletano ‘insegnare’ si traduce ‘imparare’), quanto piuttosto sulla seconda parte, ossia sulla gratuità dell’insegnamento. In altre parole, chi si fa maestro mette anticipatamente in conto la possibilità che il discente, fatto proprio l’insegnamento, prenda la sua strada, non riconoscendo il giusto merito a chi gliel’ha indicata.
Nonostante questa consapevolezza, il desiderio di donare agli altri la propria esperienza è, tuttavia, capace di far superare ogni riserva e di oscurare del tutto l’eventuale delusione per un discepolo irriconoscente.
E’ un po’ quello che tutti noi genitori facciamo con i nostri figli: mettiamo disinteressatamente a loro disposizione tutto il nostro sapere e la nostra esperienza, affinché imparino a camminare sulle loro gambe cadendo il meno possibile, eppure non ci aspettiamo da loro alcuna riconoscenza! Ci basta sapere di aver fatto quanto nelle nostre possibilità per indicare loro la strada migliore da percorrere…
E adesso torniamo a quello che tutti aspettate, ossia il prosieguo della narrazione ‘rivoluzionaria’!
Apprendere di aver superato la prova scritta alla selezione del Monte dei Paschi di Siena mi gettò in uno stato di agitazione e di confusione. Non avevo assolutamente preso in considerazione la possibilità di un successo, per cui quella notizia, che avrebbe reso euforico ciascuno dei cinquemila partecipanti, fu per me peggio di una doccia fredda.
Da un lato ero lusingata, in quanto solo il 10% dei candidati era riuscito nell’impresa, ma dall’altro mi chiedevo, tra mille dubbi, come comportarmi: prepararmi per la prova orale o fare finta che nulla fosse accaduto?
Prevalse, alla fine, l’innata tendenza a non lasciare nulla di incompiuto e, così, pur percependo nel profondo del mio animo di apprestarmi a fare qualcosa di innaturale, decisi di iniziare la preparazione per l’orale.
Tornare a vestire i panni della studentessa a cinque anni dalla laurea fu molto faticoso, in quanto ormai la mia mente e il mio fisico erano allenati ad altri ritmi.
Tuttavia, ormai avevo deciso: avrei percorso quella strada fino alla fine, soprattutto per scoprire dove mi avrebbe portato, anche se già prevedevo che il cammino sarebbe stato in salita e poco soleggiato…
Il mio intuito mi sussurrava qualcosa all’orecchio, allo scopo di farmi desistere, ma il senso di responsabilità impartitomi dalla mia famiglia sistematicamente mi distoglieva, e alla fine ebbe il sopravvento.
Iniziò un periodo molto stressante, neanche lontanamente paragonabile alla parentesi universitaria, che, invece, avevo vissuto con molta serenità ed allegria. Dentro di me sapevo che più affinavo la preparazione per la prova orale più si assottigliavano le probabilità di rimanere nel paradiso senese.
Era come se la mente procedesse in una direzione e il cuore, invece, se ne andasse nel senso opposto… E tenere insieme quel guazzabuglio era davvero una bella fatica!
La sera, quando, andando a letto, mi congedavo da ciò che mi circondava, pensavo sempre più spesso che forse si stava avvicinando il momento in cui avrei dovuto dire addio alla mia casetta, al panorama che rimiravo dal mio balconcino, al merlo che ogni mattina si posava sul tetto e mi destava con l’insistenza del suo fischio, alle rane che in estate udivo gracidare dalla campagna sottostante, alla luna piena che vestiva di argento i miei sonni tranquilli.
E il pensiero di tutto ciò mi gettava in uno sconforto senza confini…
Intanto, dibattuta com’ero tra mille di questi dubbi e preoccupazioni, arrivò il giorno della prova orale!
Nessun commento:
Posta un commento