Il sazio non crede al digiuno!
In questo proverbio si ritrova un grande insegnamento di vita: mai giudicare prima di aver sperimentato in prima persona. Purtroppo, i modelli comportamentali che ci vengono trasferiti oggigiorno, o meglio, da cui veniamo quotidianamente bombardati, sono tutt’altro che inclini alla tolleranza e al beneficio del dubbio. Così, ciascuno di noi si erge prontamente a giudice di tutto e di tutti, senza, però, aver mai provato a mettersi nei panni del giudicato.
Vi racconto, a mo’ di esempio, un divertentissimo aneddoto relativo al paese in cui attualmente vivo, Sant’Angelo dei Lombardi, Alta Irpinia. E’ un aneddoto di parecchi anni fa, di cui non conosco i protagonisti, ma che, al di là dell’immediata comicità, mi ha fatto molto riflettere nel senso che vi ho appena spiegato. Ebbene, in un pomeriggio estivo un paesano ritornava lemme lemme verso casa, dopo aver preso parte ad un pranzo luculliano, presumibilmente domenicale. Avanzava quasi sorreggendosi la pancia per il troppo cibo ivi stipato, quando, sul ciglio della strada, un accattone gli chiese l’elemosina, dicendo: “Vi prego, datemi qualcosa! Sono tre giorni che non mangio!”. E quell’altro, di rimando: “Beato te!”
A voi le ulteriori riflessioni!
Ma, adesso, torniamo in Toscana! La morte di mio padre coincise con la fine del corso di Specializzazione e con l’inizio di un periodo molto confuso, che durò più di un anno. Avevo dovuto dismettere i miei abiti da studentessa e, a quel punto, dovevo trovare qualcosa da fare a Siena.
Il caso volle che il Direttore della Scuola di Specializzazione mi offrisse di collaborare a dei progetti di ricerca commissionati, per lo più, da Enti Pubblici. Accettai subito l’incarico e vari furono i motivi di questa decisione. Innanzitutto, era il modo migliore per tenere la mente lontana dal solito rimuginare; in secondo luogo, come sede di lavoro, mi venne assegnata una stanza tutta per me nella meravigliosa Villa Chigi Farnese, corredata di scrivania, computer, stampante, libri (scelsi la stanza con il soffitto affrescato e il camino!), e, in ultimo, ma non da ultimo, avevo trovato il modo di allungare il brodo, ossia di prolungare a tempo indeterminato la mia permanenza a Siena!
La consulenza agli Enti Pubblici risultò interessante, non tanto per il lavoro in sé che era sostanzialmente arido, quanto, piuttosto, per la possibilità di conoscere nuovi contesti ed altre persone.
Peraltro, mi rimaneva molto tempo libero che, come non vi sarà difficile immaginare, provvedevo immediatamente a riempire, coltivando qualcuna delle mie passioni.
Avvertivo, però, la necessità di qualcosa che mi scuotesse dalla condizione di prostrazione e di rassegnazione cui la morte di mio padre mi aveva costretta, ma che ben poco si addiceva al mio spirito assetato di vita. Sapevo che neanche Babbo Diego avrebbe gradito vedermi in quello stato, giacché in quella Silvana era rimasto poco della sua adorata semmenzella.
Pertanto, nell’ottobre del 1995 decisi, zaino in spalla, di intraprendere, in totale solitudine, un viaggio in Spagna e dentro me stessa. Avevo 28 anni e da quasi due lustri vivevo da sola, eppure, per la prima volta dopo tanto tempo, avvertivo forte la paura della separazione e dell’ignoto. In altre circostanze, animata dal mio solito spirito libero, l’eccitazione e l’impazienza per quel viaggio sarebbero state alle stelle, ma, in quel frangente, ero ancora troppo vulnerabile. Tuttavia, ciò che avrebbe fatto desistere tanti, per me , al contrario, rappresentò una sfida pericolosa e seducente al tempo stesso, di fronte alla quale non potevo e non volevo tirarmi indietro. Dovevo andare a cercare e a trarre in salvo la vera me stessa!
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