venerdì 28 gennaio 2011

Caro Babbo Diego...

A casa dei suonatori non si portano serenate

Mio marito Alessandro ripete spesso questo proverbio quando io voglio aggirare l'ostacolo e lui mi coglie in fallo. Da buona Gemelli, la rapidità di pensiero e l'acutezza di spirito mi sono, nell’impresa, compagne fedeli ed inseparabili, ma, dopo tanti anni (eravamo compagni al liceo), il mio caro Capricorno ascendente Vergine mi conosce fin troppo bene per essere gabbato (per i profani, le caratteristiche distintive del Capricorno sono la riflessione, la diplomazia, la riservatezza, l’affidabilità, la serietà; la Vergine, invece, è caratterizzata da una personalità intellettuale e nervosa, incline alla meditazione e all’osservazione fin troppo analitica, cosa che rende i nati nel segno critici anche per i dettagli più minuziosi. A voi le conclusioni circa il risultato di questo mix tutt’altro che facilmente digeribile!). Ormai sono stata diligentemente schedata in uno dei file dell’archivio mentale di Alessandro, a cui egli ogni tanto apporta qualche aggiornamento. Tuttavia, se ricordate, mi rimane sempre l'ascendente Gemelli e, quindi, mi riservo ancora qualche cartuccia segreta da sparare al momento opportuno (voi, però, non diteglielo, mi raccomando...)!
Ma, bando alle ciance e ritorniamo a noi... Nel post di ieri il sipario era calato sul delizioso appartamentino che sarebbe stato il mio rifugio durante l'intera parentesi toscana. Parlo di rifugio in quanto, benché il mio spirito libero mi portasse spesso ad allontanarmi da Siena, era sempre lì che desideravo tornare, in quella casa: i miei viaggi e i miei spostamenti, via via più frequenti dopo la laurea, mi svelavano ogni volta nuove destinazioni, dove mi impregnavo di colori, sapori, suoni fino ad allora sconosciuti e che davano nuovo nutrimento alla mia anima assetata di sapere e scoprire, scoprire e sapere. Più che un viaggio verso una località fisicamente identificata da una latitudine e una longitudine ben precise, si trattava sempre ed innanzitutto di un viaggio alla scoperta di me stessa, dei miei limiti e delle mie paure, ma anche della mia intraprendenza e della mia istanza di libertà. Era come guardarsi allo specchio senza veli e chiedersi “E adesso, sei davvero pronta ad andare oltre?”. E’ questo il motivo per cui molti dei miei viaggi, sia verso destinazioni vicine che lontane, li ho intrapresi in totale solitudine, accompagnata solo dalla mia macchina fotografica, una Olympus OM 20 regalatami da mio padre e che ora apparirebbe come la trisavola delle moderne macchine digitali. La cosa straordinaria è che non mi sentivo mai sola, poiché sapevo rendere familiari in qualche dettaglio più o meno significativo tutti i luoghi che visitavo, in modo da sentirmi sempre a mio agio. Ma la realtà era che spesso ripetevo fra me e me “Male che vada, hai sempre te stessa!” e, dunque, riuscivo a bastarmi anche lontana dalla mia casa e dalla mia famiglia, anche in un luogo dove la gente non parlava la mia stessa lingua e mi era totalmente estranea.
Tuttavia, anche un’amante dei viaggi così singolare prima o poi palesa il bisogno di un dato stabile, e, per me, come già detto, il punto di riferimento si incarnava nella mia casa, dove era dolce ritornare, riabbracciata dal tepore degli oggetti a me così cari.
L’arredamento era stato scelto dai miei genitori: in parte si trattava di mobili acquistati sul posto, in parte di mobilia soverchia proveniente da Napoli. I miei ci tenevano che non mancasse nulla e quindi avevano dotato la piccola dimora di tutto ciò che potesse necessitarmi. Via via provvedevano ad acquistare le altre piccole suppellettili che inizialmente erano sfuggite al loro meticoloso equipaggiamento. Generalmente, si dedicavano a quest’occupazione il fine settimana, quando, a settimane alterne, venivano a trovarmi a Siena. Mio padre, che purtroppo ho perso nel 1994, era un tipo formidabile, spassosissimo, dal cuore generoso e dagli occhi blu mare. Era un napoletano verace e non sapeva, né voleva, contenere questa sua peculiarità. Vi racconto un aneddoto che riassume magistralmente lo spirito sagace e dissacratorio di quest’uomo meraviglioso: per l’appunto durante una delle perlustrazioni senesi dei miei genitori, alla ricerca di qualche oggetto casalingo mancante all’appello, i due entrarono in un negozio in pieno centro per acquistare un mestolo. Voi sapete cos’è un mestolo, vero? Ma quando mia madre ne chiese uno al commerciante, questi, con chiaro accento senese, affermò reiteratamente di non capire di cosa si trattasse, con l'intento evidente di mettere in imbarazzo la povera donna. Mio padre non si fece passare la mosca sotto al naso, come suol dirsi, e, con chiaro accento napoletano, tuonò: “Ha parlato ‘o frate ‘e Dante Alighieri! Uè, fa’ ampressa, damme nu coppino!” (traduco: “Ha parlato il fratello di Dante Alighieri! Dai, fai presto, dammi un mestolo!”), al che il tipo, paonazzo in viso, si diresse trafelato a fornire quanto richiesto e non si permise più di proferire verbo.
Per non parlare di quella volta in cui attendevamo il tecnico della caldaia per una messa a punto, ovviamente anche lui senese doc. Se ricordate, nel post di ieri avevo accennato ad una serie interminabile di gradini sconnessi che conducevano fino al mio appartamento. Ebbene, il tecnico era un omone simile nelle fattezze al Brutus di Braccio di Ferro: avete presente? Testa piccola, tonda, pelata e luccicante come un uovo, incassata in un ammasso informe di grasso che tentava, ansimando, di scalare i gradini per avere infine ragione della dolce dimora. Quando il tipo, tutto sudato e rosso in viso, fece la sua comparsa dall’ultima rampa di scale, più morto che vivo nel suo tutone blu elettrico, come pensate lo accolse mio padre? Con un sorrido apparentemente ingenuo, in puro slang napoletano, pronunciò queste precise parole: “Uè, ma a Voi vi piacciono ‘e maccaruni, eh?” (traduco “A Lei piace la pastasciutta, vero?”), con chiaro riferimento alla sua mole. Ovviamente, il poverino, già tramortito dall’arrampicata tutt’altro che agevole, gli rivolse uno sguardo imbambolato e supplichevole al tempo stesso, come a dire “Cosa vuole costui da me? Non vede che ora avrei bisogno soltanto di una massiccia dose di ossigeno?” Tutto ciò sotto gli occhi a metà tra l’incredulo e il divertito di mia madre, di mia sorella e della sottoscritta che dovette fare uno sforzo non indifferente per trattenere una fragorosa risata.
Potrei raccontare tanti altri aneddoti del caro Babbo Diego, ma abbiamo ancora molta strada da percorrere insieme e le occasioni non mancheranno.
Vorrei solo precisare che in questo suo modo di fare non c’era mai cattiveria gratuita o intenzione di offendere, ma solo una vena bonariamente canzonatoria, volta, per lo più, a creare un’affinità con le persone che avevano la fortuna di incontrarlo. Era semplicemente il suo modo di essere Diego Planeta, unico al mondo nel suo genere!
Così come vorrei precisare che, a prescindere dagli episodi narrati, ho una grandissima stima dei senesi. Dovunque sono presenti le due facce della medaglia, il buono e il cattivo, il bianco e il nero, per cui, allo stesso modo, potrei raccontare tanti altri aneddoti in cui il popolo senese ha dimostrato tutta la sua generosità ed ospitalità. E con questo, passo e chiudo. Alla prossima!



2 commenti:

  1. scoprire questo blog è stato quasi come vedere il sito della casa bianca, il primo sito internet visto in vita mia, più di 15 anni fa...avanti così, aspetto con ansia l'apertura degli annali sull'avventura senese!
    brava e baci ai bimbi
    massimo

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  2. Ciao Cara,
    la prima cosa che mi è venuta in mente è:" Vorrei vedere le foto!!!"
    La seconda è:" Sei stata molto fortunata ad avere un padre ed una madre così".
    Il mio è un latitante credo di averlo visto l'ultima volta forse prima di Natale o forse dopo!
    Ecco perchè io sono a casa, per seguire i miei figli come i tuoi hanno fatto con te!
    Buon lunedì.
    Anna

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