Chi non sa fare, non sa comandare
Personalmente, apporterei una modifica al proverbio odierno! Data per scontata la veridicità della sua versione originale, inserirei questa variante: “Chi non sa fare, non può comandare”, dove il verbo potere deve essere inteso nel duplice significato di ‘non essere in grado’, ma, soprattutto, di ‘non avere la possibilità’ di comandare. Mi spiego meglio. Indubbiamente, se non siamo in grado di fare una cosa, non siamo neanche in grado di dare direttive agli altri affinché compiano quella cosa, e questo è il significato immediato del proverbio. A ciò, però, aggiungerei una forzatura, ossia, se non siamo in grado di fare una cosa, mai e poi mai dovrebbe esserci data la possibilità di comandare.
Tuttavia, il mondo che ci circonda è costellato da molteplici esempi che sistematicamente confermano il dettame del nostro proverbio! Sempre più spesso assistiamo ad una realtà che si ripete uguale a se stessa, seguendo un copione visto e rivisto centinaia di volte, in cui gli inetti e i furbi vanno avanti e i più meritevoli rimangono indietro. Mi chiedo dove ci porterà tutto ciò e, ponendomi in una posizione antitetica, mi chiedo se gli antichi Romani, artefici di una cultura ben più florida e feconda di quella presente, avessero affidato a degli incapaci la fondazione del loro impero, la conduzione dei loro eserciti, la costruzione delle loro opere architettoniche, la creazione del loro sistema di leggi, solo per citare alcuni dei campi in cui essi eccellevano. Indubbiamente, il loro punto di forza fu la capacità di tenere insieme etnie e popoli diversi sotto ogni aspetto, e, al contempo, l’abilità di valorizzare le attitudini e le naturali propensioni di ciascuno, per metterle, poi, a disposizione di tutti. In altre parole, nella loro lungimiranza, i Romani avevano ben chiaro che solo chi sa fare, chi ha le competenze specifiche in un determinato settore, è in grado di dirigere gli altri nell’ambito di quel contesto. Qual era il risultato finale di una simile politica? Ovviamente la crescita del prestigio e del potere romani, in un’ottica di puro accentramento.
In finale, ciò che mi chiedo veramente è come sia stato possibile cadere dalle stelle alle stalle, sommersi come siamo da continue ondate di scandali nazionalpopolari e da conseguenti dileggi che ci bersagliano da ogni angolo del mondo. Eppure, si dice che Historia magistra vitae est, ossia la storia è maestra di vita...
Dopo queste amene considerazioni, ritorniamo alle vicende pseudobancarie!
Benché facessi di tutto per reinserirmi nell’ambiente napoletano, capirete bene che, dopo oltre dieci anni di narcotizzazione senese, si trattava di un’impresa a dir poco ardua. I ricordi della idilliaca parentesi toscana mi riaffioravano alla mente con la perseveranza e la molestia di un bambino indisponente che punta i piedi e fa i capricci finché non gli viene data la dovuta attenzione. Con la stessa insistenza, il pensiero dei tempi che furono continuava a ronzarmi fastidiosamente nella testa, fino a quando non facevo sì che quel pensiero venisse incanalato in uno scorrevole fluire e prendesse, infine, forma in vivide immagini che si susseguivano l’una all’altra come un magnifico film!
Generalmente, la sera era il momento che più si prestava a queste introspezioni malinconiche, ma, poi, consapevole che c’è sempre un limite al male che ci si può procurare, distoglievo la mente, impegnandomi in altre attività.
Tuttavia, una sera non potei sfuggire alle grinfie della mestizia. Essa mi attanagliò e poi mi sopraffece senza che potessi opporre alcuna resistenza. Ero sul divano del soggiorno, difronte alla televisione che quella sera mandava in onda Il ciclone di Leonardo Pieraccioni. Tutti, o quasi, sapete che il film è ambientato in Toscana. Anche io ne ero a conoscenza, ma ignoravo, tuttavia, il seguente particolare: la scena inziale si apriva sulla campagna toscana, ripresa in tutta la fulgida bellezza del suo giallo ocra nel periodo estivo!
Appena la scena mi si parò davanti agli occhi, istantaneamente mi si riaprì, come una falla, la ferita da poco rimarginata e l’unica reazione che fui capace di opporre fu un pianto dirotto e incontenibile.
Erano già passati svariati mesi dal mio rientro a Napoli e, sinceramente, pensavo che il peggio fosse passato. Ma, evidentemente, mi sbagliavo!
Il ciclone sei tu! Un fiume in piena!
RispondiEliminaCredo di capirti.
Ho vissuto 7 anni in Toscana (tra Carrara e Pontremoli) e tutte le volte che riappariva in tv o altrove un'immagine di quei posti ... mi si sonvolgeva l'equilibrio psichico.
Ora, dopo qualche anno, non mi sconvolgo più.
Quando proprio non ce la faccio .... allora bevo un buon bicchiere di percolato puro e .... non ci penso più!
Ciao
ti capisco, ti capisco, napoli è la morte civile e per fortuna ora sei nel tuo bel paese pulito e vivibile. continua così, ciao, luisa.
RispondiEliminaMi sono seduta un momento per leggerti ed ho già in braccio qualcuno!!!
RispondiEliminaComplimenti per la similitudine, direi che però mi deprime ancora di più: siamo messi proprio male!
Io invece ho cambiato tante case, ma sempre nel raggio di 25 km.. Mi piace cambiare!