sabato 19 febbraio 2011

Sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico!

Zompa chi po' zumpa', dicette 'o ranavuóttolo
(Salti chi può, disse il rospo)

Il proverbio odierno è una chiara allusione allo spirito di sopravvivenza presente in ciascuno di noi. Difatti, allorquando siamo minacciati da una perdita, da un danno, da un pericolo, non necessariamente a livello fisico, ma anche a livello emotivo, prima o poi scattano dentro di noi le naturali autodifese che ci permettono di risalire la china. E’ ovvio che se una persona sceglie, consciamente o inconsciamente, l’autodistruzione, non avrà alcuna motivazione a saltare il fosso, ma, anzi, più probabilmente, starà vegetando nell’attesa che un evento risolutore metta la parola ‘fine’ a questo processo autolesionista. In situazioni del genere, c’è ben poco che possiamo fare, se non essere trascinati a fondo anche noi. Ecco perché la saggezza antica, che raramente sbaglia, ci suggerisce di farci rospi e di saltare il fosso finché siamo in tempo!
Peccato che non sempre abbiamo il coraggio e la determinazione di seguire i giusti consigli, soprattutto se sussurratici dal nostro intuito!
E’ quanto successe a me, arrivata al momento della decisione finale: che fare a quel punto? Mollare tutto o perseverare, per capire fin dove ero capace di spingermi? Ero consapevole che chiunque alla mia età e senza un’occupazione fissa avrebbe accettato quel posto ad occhi chiusi, che chiunque mi avrebbe scambiata per matta! Eppure, qualcosa in me ancora si dibatteva, ancora cercava di affermare le sue ragioni, benché con voce sempre più flebile e soffocata dal precipitare degli eventi. Quello stesso fine settimana avrei dovuto preparare i bagagli e partire per Napoli, per affrontare l’ultima settimana di formazione nella locale Capogruppo, e, quindi, essere proiettata nel mondo del lavoro, quello vero.
Decisi di perseverare… Contavo sulla mia innata capacità di adattamento e sul mio ottimismo, ma, in fondo in fondo, sapevo fin da allora di illudermi: uno spirito libero chiuso in gabbia o si riprende la libertà o muore!
Con questo macigno che mi opprimeva i sensi, mi preparai alla partenza. Naturalmente, ero tutto sommato una privilegiata, visto che rientravo comunque nella mia città e, in particolare, nella casa paterna. Eppure, non sapevo darmi pace.
Si dice che “Partire è un po’ morire!”, ma, nel mio caso, l’addio a Siena fu doloroso oltre ogni possibile immaginazione: sebbene avessi avuto un certo margine di tempo per predispormi al commiato, inconsciamente avevo sempre procrastinato quel momento, forse nella speranza che avvenisse qualcosa di inatteso a modificare il corso degli eventi. Ma sorprese non ne arrivarono e l’inizio della quarta settimana era sempre più vicino.
Messa alle strette dalla mia insulsa testardaggine, la domenica mattina caricai i bagagli in macchina e partii per Napoli. Da allora, 450 chilometri si sarebbero frapposti fra l’inferno della prigionia e il paradiso in terra!

2 commenti:

  1. Va bene! Mi piace!
    Racconti molto bene i tuoi stati d'animo e quello che hai vissuto.
    Sono sensazioni a volte comuni per vicende analoghe.
    Ma che comunque avrei capito benissimo anche senza averle sperimentate.
    Ne vien fuori una tua forte autonomia di pensiero, una solidità interiore se pur alternata a tanti dubbi.
    Scegliere facendosi guidare dall'intuito è pericoloso. Ma se l'intuito si è formato bene, generalmente ne conseguono scelte oculate.
    Continua a raccontare.
    Descrivendo con questa intensità sono convinto che tra un pò mi sembrerà di conoscerti da sempre.
    Succede sempre così.
    Ciao.

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  2. Mi piace davvero tanto quello che scrivi! Sono felice di averti conosciuta, ora non ti mollo!

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