sabato 29 gennaio 2011

La luna nel pozzo

Dicette ‘o pappice ‘nfaccia  a noce: anoce: o pappice damme tiempo, ca te spertoso
(Disse il tarlo alla noce: dammi tempo che ti buco)

Il proverbio di oggi è un invito alla pazienza e alla perseveranza, valori che un po’ tutti abbiamo immeritatamente accantonato, frastornati e strattonati come siamo dalla frenesia dei ritmi quotidiani. Ma, se concediamo solo qualche minuto ad una intima riflessione, sarà facile comprendere come pazienza e perseveranza sono il naturale nutrimento di una maggiore fiducia in noi stessi, altro valore che i modelli imposti dalla moderna società tendono in maniera subdola, ma scientificamente calcolata, a spicconare progressivamente. Si dice che la pazienza è la virtù dei forti e, se ci pensate bene, persevera colui che è fiducioso, se non sicuro, di raggiungere la meta che si è prefissato. Dunque, allenate la vostra mente e il vostro spirito nella palestra di queste antiche virtù e sarete sorpresi dal constatare come anche poca pratica sia in grado di dare frutti inattesi e corroboranti.
E adesso ritorniamo a quello che tutti aspettate (o sbaglio?): l’atto VI della “casalinga rivoluzionaria”.
Anche questo post sarà dedicato al mio soggiorno senese, ma con un piccolo passo in avanti. Nel 1992, dopo sei anni di onorata frequenza universitaria, conseguii a pieni voti la laurea in Scienze Economiche e Bancarie, discutendo una tesi in Economia Ambientale. La sua preparazione ed elaborazione furono un parto indolore, anzi, direi, un piacevole impegno quotidiano che mi portava in giro tra biblioteche e centri di ricerca specializzati in materia. Provvidi personalmente alla sua battitura e stampa, servendomi di una stampante ad aghi di primissima generazione (oggi antidiluviana), di cui ricordo ancora il metallico rumore a scatti…  
Ma poiché la laurea significava la fine della mia vacanza in Toscana, pensai bene di prolungare gli studi, iscrivendomi ad un corso di specializzazione, della durata di due anni: altri  settecentoventi giorni di respiro, durante i quali avrei dovuto inventarmi qualcosa di nuovo per allungare il brodo!
Da buona Gemelli refrattaria alla monotonia, scelsi una specializzazione che nulla aveva a che fare con la materia della mia tesi di laurea. Si trattava di una specializzazione in Amministrazione Pubblica, dunque di taglio essenzialmente giuridico che, capirete bene, si incastrava ben poco con la mia formazione prettamente economica. Il motivo di questa scelta vi sembrerà pazzesco, ma, per un animo sensibile al bello come il mio, fu determinante la sede dove si sarebbero svolte le lezioni, due volte alla settimana, per un biennio. Si trattava di una villa rinascimentale, Villa Chigi Farnese, immersa nel verde della campagna senese, poco distante dalla città e a cui si accedeva tramite una strada a sterro di un paio di chilometri.
Lo spettacolo che si aprì dinanzi ai miei occhi, quando mi recai sul posto per un sopralluogo, fu indescrivibile: rimasi letteralmente rapita dall’aura che circondava non solo la splendida villa, ma l’intero complesso cinquecentesco. Era come se il tempo si fosse cristallizzato e tutto fosse immerso in un’immobilità surreale. Le armoniose linee rinascimentali dell’edificio avrebbero incantato anche il più distratto dei visitatori, alla stregua di un’ammaliante sirena, fluttuante dinanzi ad ignari navigatori.
Il paesaggio circostante emanava esattamente la stessa energia: la villa era circondata da querce, tigli e castagni secolari che in autunno emanavo un inebriante umore di sottobosco e in primavera esplodevano in una sinfonia di vivido fogliame e odorosa fioritura. Non era raro scoprire di giorno i segni del passaggio notturno di qualche abitante del bosco, come, ad esempio, le impronte lasciate da una famiglia di cinghiali o i lunghi aghi di un istrice che, nel mio immaginario, doveva averli persi lisciandoseli al chiaro di luna.
Ma l’elemento più affascinante di questo incredibile scenario era senza dubbio il pozzo in pietra che se ne stava al centro del cortile, a rimirare da secoli l’antica dimora. Mi piaceva pensare che quel pozzo fosse un guardiano imperituro, nel cui fondo, sotto il riflesso della luna, si celava un accesso segreto alle fondamenta della villa, dove essa nascondeva a sguardi  profani il mistero della sua eternità.
Alla luce di tutto ciò, pensate, dunque, che fosse davvero importante cosa andassi a studiare in quel posto?
Peraltro, ancora non sapevo che di lì a poco, proprio in quella magica villa, avrei incontrato un angelo che mi sarebbe stato accanto durante tutta la mia permanenza a Siena ed anche oltre.
Ma di questo vi parlerò nel prossimo post!

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