giovedì 3 febbraio 2011

Cinema, che passione!

Meglio essere 'o l'urdemo d'e cavalle che 'o primm d'e ciucce 
(Meglio essere l'ultimo tra i cavalli che il primo tra gli asini)

A cosa vi fa pensare il proverbio di oggi? Che nella vita non dobbiamo mai sottovalutarci, mai credere che non siamo all’altezza di affrontare una situazione nuova o imprevista. Dobbiamo visualizzare noi stessi come dei cavalli di razza, pronti a scattare quando le circostanze, avverse o meno che siano, sparano il colpo di partenza, e concentràti a raggiungere la meta, fino a che non tagliamo il traguardo. Forse non tutti possediamo questa capacità, ma vi assicuro che si può acquisire ed affinare nel tempo. E’ come quando un bimbo comincia a muovere i primi passi: non è pensabile che egli si cimenti da subito nella corsa ad ostacoli, ma, indubbiamente, sulla lunga distanza, sarà in grado di raggiungere quell’obiettivo. Gli sarà richiesto un considerevole impegno, dovrà mettersi alla prova giorno dopo giorno, ma, alla fine, acquisirà sufficiente fiducia nella capacità delle sue gambe di sorreggerlo. E’ questo il motivo per cui dovete, comunque, sentirvi “cavalli” e non “asini”. Solo in questo modo avrete la possibilità di giocare alla pari le sfide che la vita inevitabilmente vi propone. Del resto, che cos’è la nostra esistenza se non il cammino verso un progressivo miglioramento?
E adesso a noi! Desidererei dedicare questo decimo post ad un’altra mia grande passione, che da un po’ di tempo, dato il mio mestiere di tre volte mamma, ho forzatamente accantonato, ma che dentro di me continua a puntare i piedi e a chiedere soddisfazione dei torti, mio malgrado, subiti. Sto parlando, signori miei, del cinema, quell’ipnotizzante universo che, se ti cattura nelle sue maglie, ti imbriglia a tal punto da non potertene, e non volertene, più liberare. E’ una di quelle malattie che ti fa piacere non curare affinché non passi mai, è uno di quei chiodi fissi che non vuoi scacciare dalla mente perché per la mente è linfa vitale…
Forse sto esagerando, ma vi assicuro che, ogni volta che mi accingevo a vedere un nuovo film, il mio animo rimaneva sospeso in una suggestione di trepidante attesa, che tendeva a dissiparsi e a trasformarsi in puro piacere ed appagamento man mano che la pellicola scorreva sotto i miei occhi attenti.
Ogni film era come un viaggio fantastico intrapreso dall’anima, viaggio che aveva un inizio, ma non una fine, in quanto le emozioni che esso era capace di regalarmi sarebbero rimaste per sempre serbate in un angolo del mio più profondo sentire.
Siena, ancora una volta, si dimostrò incomparabile compagna anche in quest’avventura senza fine. Esistevano, difatti, diverse sale, quasi tutte concentrate al di qua delle mura, per cui, alle volte, non perdevo occasione per uscire da un cinema e, a passo rapido, raggiungerne un altro, pronta per una nuova visione. Il mio preferito era il cinema Nuovo Pendola (non so se esiste ancora…), piccolo e poco distante da casa mia, che proiettava solo film d’essai. Più che proporsi alla vista come una sala cinematografica, mi appariva, o, meglio, lo percepivo, come la sede di un circolo riservato a pochi eletti, di cui ero orgogliosa di far parte. Conservo ancora oggi i biglietti di ingresso a tutte le prime visioni, corredati di data e di un piccolo commento.
Spesso, per scelta, assaporavo e respiravo queste esperienze in solitudine, come accade per tutte le cose che mi coinvolgono fortemente a livello emotivo, ma, dovendo optare per una compagna di viaggio, la scelta cadeva sempre ed immancabilmente sulla mia cara amica Luisa. Di poco più giovane di me, calabrese di nascita, ma senese di adozione, la conobbi nell’ambito universitario. Bastò poco per capire che tra noi tante erano le affinità, anche se caratterialmente eravamo e rimaniamo molto diverse.
Ammiro in lei la sua pacatezza, la sua serenità, la sua bontà, la sua dolcezza. E la mia ammirazione è cresciuta, se possibile, ancora di più da quando, con suo marito Massimo, senese doc, ha scelto di diventare mamma di un bimbo filippino di cinque anni. Tutte noi sappiamo come sia arduo il mestiere di mamma, eppure lei non si è tirata indietro di fronte ad una sfida irta di ulteriori difficoltà, quali l’età già avanzata del bimbo e l'ostacolo iniziale di un idioma diverso. Ma ora, a sentire come canta Sonni (questo il suo nome) in giro per casa quando sono al telefono con Luisa, capisco che il sereno è già arrivato.
E chiudo con un invito a mio marito Alessandro, che dice di non amare il cinema perché “alla fine del film non puoi portarti niente dietro, neanche una sedia!”. L’invito è quello d’ora in poi di guardare al cinema con occhi nuovi, magari i miei, anche se, lo so, a lui basta stare nel buio della sala vicino a me!

mercoledì 2 febbraio 2011

E correvo, correvo, correvo...

Da cosa nasce cosa

Avete mai pensato a quante occasioni abbiamo perso nella vita a causa della nostra indolenza, della nostra misantropia, dell’attaccamento alle nostre abitudini? Vi assicuro molte, in quanto è assolutamente vero che, per ottenere risultati diversi, dobbiamo fare cose diverse. Ciò significa uscire dalla nostra area di comfort, quella in cui ci sentiamo a nostro agio e in cui abbiamo i nostri  punti di riferimento, e cimentarci in qualcosa di nuovo, non ancora sperimentato. A questo punto, mi chiederete come fare. Beh, la risposta è soggettiva: fate cose che non avete mai fatto prima, come andare in palestra, iscrivervi ad un corso di recitazione, frequentare una nuova associazione e vedrete che sempre, inevitabilmente, “da cosa, nasce cosa”!
E adesso, se me lo consentite, in questo post vorrei fare un passo indietro, agli anni in cui ero ancora studentessa universitaria. Come vi ho già detto, la mia permanenza toscana fu più simile ad una vacanza che ad un soggiorno di studio. Questa percezione si acuiva, in particolare, con il sopraggiungere della bella stagione, allorquando quel piccolo gioiello medievale che è Siena si vestiva di nuovi odori e di nuove luci.
In me è ancora vivido il ricordo dei freschi profumi bagnati di rugiada che in primavera si sprigionavano dalla natura in fiore, così come il ricordo dei riflessi caldi del tramonto estivo che avvolgevano in un mantello infuocato il cotto delle abitazioni, delle basiliche, delle strade.
Sembrava quasi che la città fosse un albero secolare cui l’inverno strappava il suo vigore, ma che, immancabilmente, risorgeva a nuova vita allorquando la tiepida brezza della primavera e la fluida energia dell’estate le restituivano rinnovato splendore.
Le mie giornate erano cadenzate da impegni fissi, quali la frequenza universitaria al mattino e lo studio il pomeriggio. Ma, adempiuti i miei doveri, lasciavo che la città mi conducesse per mano a scoprirne le celate bellezze e a sussurrarmi gli aviti segreti.
In particolare, il momento che più di ogni altro suggellava questo magico connubio si racchiudeva nell’ora che ogni giorno, prima del calar del sole, dal mese di aprile e fino ad autunno inoltrato, dedicavo al jogging.
Ho cominciato a coltivare questa meravigliosa disciplina relativamente tardi, intorno ai vent’anni, ma vi assicuro che è stata una grande maestra di vita. La corsa, difatti, consente a chi la pratica di mettere veramente alla prova la propria forza e la propria resistenza, non solo sul piano fisico, ma soprattutto su quello mentale. Guadagnare ogni giorno cento metri in più rappresenta la conquista di un allenamento duro, costante, caparbio. E’ una conquista in cui si è soli, senza alcuno strumento o attrezzo che ti faciliti nell’impresa, se non un paio di scarpette da corsa…
Sicché, animata da questo spirito, ogni giorno uscivo di casa e iniziavo a correre. Dopo aver percorso un paio di chilometri al di qua della cinta muraria senese, attraversavo a turno uno degli antichi accessi alla città e, come, per incanto, mi ritrovavo travolta dalla marea verde della campagna toscana.
Il mio percorso preferito era quello che, attraverso Porta Romana, mi conduceva, dopo un paio di chilometri, fino alla trecentesca Certosa di Maggiano, sospesa in una dimensione surreale, aldilà del tempo. La oltrepassavo impregnata di novella energia; quindi, percorrendo un tratto sterrato e affiancato da maestosi cipressi, immaginavo di essere una inarrestabile guerriera alla quale  essi, sull’attenti, rendevano omaggio.
E proprio nel momento in cui la strada cominciava a salire e il fiato e le gambe a venir meno, ecco che a darmi nuova linfa c’era una fedele alleata, piccola nelle dimensioni, ma travolgente nell’aroma: la lavanda in fiore, che inebriava i miei sensi e mi dava rinnovato vigore.
Invertendo la direzione di marcia per tornare indietro, la stanchezza cominciava a prendere il sopravvento, ma quel miracolo della natura che mi circondava era sempre pronto a tendermi una mano o a darmi una spinta, al punto che avrei quasi voluto arrestare l’incipiente calar del sole per rimanere ancora un po’ in sua compagnia!

martedì 1 febbraio 2011

La dipartita

'O cane mozzeca sempe 'o stracciato
(Il cane morde sempre lo straccione)

Che dire di questo proverbio?  Riflette la mia filosofia di vita al contrario, nel senso che, se è vero (ed io ne sono assolutamente convinta!) che ciascuno di noi è artefice della sua fortuna, un atteggiamento lamentoso circa il proprio stato, una visione pessimistica del mondo, diffidenza e criticismo verso gli altri non faranno che produrre sempre, o, addirittura, amplificare, il medesimo effetto.
Provate, invece, ad essere grati ogni giorno per quello che avete, anche e soprattutto per le piccole cose, abbiate fiducia nelle vostre capacità, cambiate il vostro stato se non vi aggrada, guardate agli altri con fiducia ed apertura mentale, e vedrete che il cane, anziché mordervi, vi scodinzolerà intorno tutto contento! Ciò che ha veramente importanza è il nostro atteggiamento mentale, la nostra ferma credenza che il bicchiere sia sempre mezzo pieno e che possa essere riempito quando lo vogliamo.
Circondatevi di persone positive, solari, allegre e, se ciò non vi è possibile, evitate le persone con le caratteristiche opposte, perché, purtroppo, loro malgrado, vi trascineranno a fondo. Ciò detto, spero che in questo momento, miei cari lettori, stiate tutti proclamando a gran voce: “E’ questo il motivo per cui continuiamo a seguirti, Silvana!”
Forte di questa speranza, vado, allora, a riprendere le fila del discorso.
I due anni della specializzazione furono un periodo molto duro persino per una persona volitiva ed ottimista come me, in quanto, proprio in quel biennio, dal 1992 al 1994, dovetti confrontarmi, insieme alla mia famiglia, con la malattia del mio caro papà. La cosa più difficile da accettare fu il dover ammettere che anche una quercia come lui poteva essere abbattuta dagli insulti della vita. Mio padre fu stroncato da un tumore all’apparato digerente, ma, essendo di tempra forte, il suo fisico ingaggiò con il terribile male una vera e propria battaglia senza esclusione di colpi. All’inizio reagì bene, ma poi, dopo circa un anno vissuto con il sostegno di una flebile speranza, la situazione cominciò a precipitare, finché egli dovette arrendersi e deporre le armi.
Non potrò mai dimenticare la sua dignità e la sua capacità di sopportare il dolore in silenzio. Anzi, vi dirò di più! Pure nella sofferenza, egli non perse mai il suo innato senso dell’umorismo. Ed è proprio con questa veste che continuerò a ricordarlo, quella di napoletano burlone dal cuore d’oro, sempre pronto a dare una mano agli altri disinteressatamente, sagace ed ironicamente dissacratorio.
La sua perdita, come potete immaginare, lasciò un vuoto incolmabile, produsse uno strappo lacerante.
Solo a distanza di un anno e più ero riuscita ad alleggerire la pressione del macigno che ancora mi stringeva il cuore e la gola e che, fino ad allora, aveva reso pesante ogni mio respiro.
La sensazione straziante dell’irreversibile distacco non avrebbe mai avuto fine, anche se il tempo, con il suo scorrere inesorabile, ne avrebbe stemperato i contorni e sbiadito l’opprimente grigiore.
La mia vitalità, alimentata e rafforzata dalla certezza che mio padre, in un modo o nell’altro, avrebbe continuato a starmi vicino, cominciò progressivamente a prendere il sopravvento sulla mestizia e sul disorientamento.
L’araba fenice stava risorgendo dalle sue ceneri!